Per_formare una collezione è il progetto (2013-in progress) dedicato dal Madre alla formazione della propria collezione permanente, interpretata come un organismo “per_formativo”, che esplora in tempo reale l’identità e le funzioni stesse del museo. A partire dal 2016 Per un archivio dell’arte in Campania rientra nel progetto e lo completa, quale indagine anch’essa progressiva dedicata alle pratiche artistiche attive nello spazio-tempo del territorio regionale contemporaneo, in cui il Madre opera.
Le opere selezionate in questo ulteriore capitolo (molte delle quali donazioni degli artisti, ed entrate in collezione negli ultimi cinque anni) approfondiscono la natura della collezione museale, volta a esplorare e azionare energie anche non ortodosse e sconfinamenti linguistici, disciplinari, metodologici, mettendo in relazione il passato e il presente, e rintracciando figure seminali per metterle in prospettiva e quindi in dialogo con la ricerca o le riletture degli artisti emergenti. Vengono così confermate le direttrici principali che la collezione del Madre ha assunto negli ultimi anni: se, da una parte, essa racconta la storia della cultura d’avanguardia con particolare riferimento a quanto accaduto a Napoli e in Campania negli ultimi cinquant’anni – esplicitando il ruolo di questi territori come storici crocevia delle ricerche più autorevoli in ogni campo della sperimentazione artistica contemporanea – dall’altra la collezione esplora il presente e ipotizza il futuro attraverso l’inclusione di artisti che rispondono con nuove opere e commissioni a questa stessa storia. Il percorso non è organizzato, in questo senso, secondo un ordine cronologico o assecondando linee di ricerca o raggruppamenti storicizzati, bensì come una narrazione critico-tematica aperta e mobile, in cui le opere, i documenti e i progetti generano un dialogo fra pratiche potenzialmente comuni di artisti appartenenti però a generazioni, formazioni e provenienze diverse. Similitudini, assonanze, aspetti ricorrenti ma anche differenze, scarti, individualità singole emergono per descrivere uno scenario articolato e complesso composto di incontri e confronti, generando uno sguardo che al contempo radica la collezione del Madre sul proprio territorio e la relaziona con lo scenario più vasto della ricerca artistica contemporanea.
Nel corridoio che conduce alla Sala delle Colonne (primo piano) le opere di Carmine Rezzuti (Alfabeto arcaico, 2014) e Enza Monetti (Swinging, 2016) sono rappresentazioni archetipiche che esplorano la relazione fra il segno iconico e i suoi possibili referenti naturali. Nella Sala delle Colonne le opere di Matteo Fraterno (Certosa, 1995), Maurizio Elettrico (Glamstaxspalaman, 2005) e Vincenzo Rusciano (Not so Bad #1, 2016) delineano i contorni di civiltà fantastiche e mondi possibili sospesi fra passato e futuro, riconoscibilità e invenzione, dimensione ludica e analisi critica. A cui sembrano fare da sfondo i Sacchi di notti napoletane (1986) di Lello Masucci, in cui la rappresentazione pittorica di un vulcano immerso in un cielo stellato si fa materia tridimensionale, acquisisce consistenza tridimensionale. Rosaria Matarese (Alzati e disegna un mondo nuovo, 1965) interpreta le potenzialità conoscitive e liberatorie dell’opera d’arte attivando collage di frammenti di esistenza – oggetti, ritagli, disegni – nel tentativo di riunire, nella sintesi precaria quanto necessaria dello spazio-tempo dell’opera, dimensione intima e sfera pubblica, mentre Quintino Scolavino (Fare orecchio da mercante, esposto alla Biennale di Venezia nel 1982) accentua il carattere ironico del suo intervento sia combinando elementi meccanici e materiali eterogenei come piume, legno e terracotta sia trasformando il titolo dell’opera in un gioco di parole.
Nella sala successiva le opere fotografiche di Salvino Campos (Redemption, 2007-2013) e Luciano Ferrara (Res e Bis, 2010) trasformano la riproduzione del dato oggettivo e documentario in un’esplorazione delle potenzialità stesse del reale, rivelandone l’intima e costitutiva pluralità. Nella stessa sala le opere di Mafonso (Tempo, 2008) e Luigi Auriemma (DIO_GENE, 2016) sembrano invece conferire corpo al linguaggio, analizzando l’interconnessione fra pensiero, parola, immagine e spazio-tempo dell’esperienza espositiva.
Nella prima delle Sale Facciata al secondo piano l’installazione ambientale di Lello Lopez (Companion, 2012) approfondisce questa interconnessione svolgendosi come una narrazione per parole e immagini che l’artista situa nel contesto culturale intermediterraneo, e l’opera di Anna Maria Gioja (Senza titolo, 1987) – presentata insieme alle opere già in collezione di Mathelda Balatresi, Tomaso Binga, Maria Adele Del Vecchio, Gruppo XX e Rosa Panaro – elabora la densità del materiale pittorico come corpo performativo che, mentre rappresenta, riflette sul proprio punto di vista e sulla propria relazione con il mondo esterno.
Nella Sala Show_Yourself@Madre al piano terra è presentata l’installazione multimediale in progress di Maurizio Igor Meta The First Ship (2018), prodotta con il sostegno di Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, narrazione aperta sulla storia di una famiglia che diviene riflessione sulla dinamica archivio/memoria/invenzione, storia fra le altre del “secolo breve” appena trascorso e del suo riverbero su un’individualità contemporanea in transito.
Infine, al confine fra Cortile interno e Cortile delle Sculture, è presentata l’opera permanente di Paul Thorel, Passaggio della Vittoria (2018): un grande mosaico in grès porcellanato e smaltato, realizzato con il sostegno di Mutina for Art ed ispirato al mosaico bianco che ricopre la volta della Galleria della Vittoria, il condotto carraio che collega la città di Napoli da est ad ovest e viceversa. Un insieme di forme, segmenti, parabole, orizzonti e colori, su fondo bianco, che accompagnano il visitatore da un punto all’altro del suo percorso di visita.