Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1984, Luigi Auriemma (Napoli 1961) orienta la sua ricerca verso un processo di scarnificazione della pittura, attraverso un percorso che predilige il rapporto dialettico tra gli opposti per restituire quelle che l’artista definisce “passeggiate dell’anima”, proprie proiezioni del mondo fisico e della dimensione esistenziale.
La pratica dell’artista è integralmente costruita attorno ad alcune coordinate fondamentali, tra cui il concetto di frammento, inteso come testimonianza, di una parte del tutto, ma soprattutto come “atto iconico” che indica una mancanza, come elemento invisibile all’occhio e invisibile all’opera stessa. La trasparenza del vetro, materiale intrinsecamente assunto nell’opera, viene esaltato, pertanto, proprio attraverso il confronto con l’opacità, inizialmente ottenuta con la pittura industriale e in seguito utilizzando anche altri materiali con cui l’artista traccia linee che alludono alle traiettorie di questa ricerca. Nelle opere degli anni ‘90, intitolate S.T., Auriemma introduce lo specchio, che amplifica il gioco/rapporto tra artista e spettatore: differentemente dal vetro, che è trasparente e offre una visione reale, lo specchio insiste sul binomio profondità/irrealtà. Parallelamente l’artista continua a indagare le potenzialità espressive del vetro, a cui accosta corde impiegate sia come segni sia come cornici per definire lo spazio della parete e per esaltare la qualità bidimensionale dell’opera, trattata sempre come ‘dipinto’, anche quando l’artista sperimenta la dimensione installativa. Inoltre, dal 1991, Auriemma inserisce nelle sue opere trigrammi e esagrammi orientali, utilizzati come trasposizione della parola tradotta in segno. Questo processo subisce dal 2006 un cambiamento: la parola, infatti, viene prelevata per scandagliare i diversi significati che essa contiene, ottenendo amplificazioni di senso, come in é_cri_t (2010), che in francese significa “scrittura”, ma contiene al centro anche la parola “grido”, o in e C_END_RE (2013), che contiene sempre in francese sia la parola “cenere” sia la parola “fine”, al centro, in lingua inglese. Dal 1993 al 1997 Auriemma realizza una serie di mostre dal titolo Enigma/Tema affidato all’altrui capacità di interpretare o indovinare, in cui il riferimento è l’Enigma di Isidore Ducasse di Man Ray. Nel 2012 realizza il video Colere, in cui lui stesso è ripreso a scomporre e ricomporre per 13 volte versi dai Frammenti di Saffo, dando forma a nuovi componimenti poetici o a frasi che non hanno un senso compiuto, poi sotterrati per conferire alle parole una nuova dimora. Nella sua produzione più recente Auriemma inserisce, tra le parole tratte da versi poetici, i punti sospensivi che diventano il momento di incontro tra i pensieri dell’artista e del pubblico, ma anche il luogo del pensiero dell’opera stessa, che per l’artista è organismo vivente e autonomo che si interroga su ciò che propone.
Nel 2016 Auriemma espone al Museo Archeologico Nazionale di Napoli DIO_GENE, opera che dà il titolo alla sua mostra personale, a cura di Marco De Gemmis e Patrizia Di Maggio: nel titolo compare il gioco di parole che conduce al rapporto tra Spirito (DIO) e Scienza (GENE). La mostra si sviluppa attorno al motivo del Doriforo, scultura priva di quegli attributi che le conferirebbero una identità certa e che si presta, dichiara l’artista, a divenire “il test fisico della regola, quindi del pensiero di Policleto”. Nell’opera, entrata a far parte della collezione del Madre nell’ambito del progetto Per_formare una collezione. Per un archivio dell’arte in Campania, Auriemma recupera i due frammenti del Kanon di Policleto e li fa riflettere su una base specchiante. Le parole, in tal modo, sovrapposte e capovolte, ‘riflettono’ (nel senso compiuto del termine) il binomio velamento/disvelamento dell’identità di ciò che l’artista percepisce come “frammento scultoreo” in rapporto con il pubblico e, più estensivamente, con il mondo esteriore.
[Olga Scotto di Vettimo]