Nelle opere di Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943) – tra gli artisti che, alla fine degli Sessanta, Germano Celant riunisce sotto la definizione di Arte Povera – elementi provenienti dal mondo naturale, spesso soggetti a rapido deterioramento (foglie di tabacco, margarina, muschio, materassi, sale, piombo, ferro, rame) sono accostati a prodotti tecnologici (neon, motori refrigeranti, registratori), suggerendo una tensione materica e concettuale che allude anche alle differenti temporalità insite nell’opera.
La pratica artistica di Calzolari si delinea come un racconto della realtà che passa per i suoi elementi costitutivi, in cui l’abbandono di ogni logica rappresentativa incontra la potenzialità espressiva della materia; il rigoroso impianto compositivo derivato dal linguaggio pittorico è trasposto alla realizzazione di installazioni che abitano lo spazio; il valore cromatico è ottenuto grazie al colore generato da materiali e procedure che entrano a far parte del processo creativo.
Tra le sue opere più celebri vi sono quelle realizzate con motori refrigeranti che gelano le superfici sulle quali interagiscono materiali di volta in volta diversi, spesso provenienti dalla sfera domestica. Le tele “brinate”, come le definisce l’artista, mettono in scena il dialogo tra la finitezza dell’esistenza, esposta nella sua “natura morta” quotidiana, e l’assolutezza dell’infinito e dell’universale, incarnata dall’utilizzo del bianco ottenuto dalla brina (essenza pura) e dal meccanismo stesso del “congelare”, che iberna residui di un’epoca per consegnarli ad un ipotetico futuro.
Senza titolo (1965) è una superficie che si presenta bianca grazie all’utilizzo del sale, elemento chimicamente puro sul quale sono percepibili delle evanescenti scritte ottenute per sottrazione. Il sale interagisce con il mollettone retrostante, tessuto pesante e felpato che rimanda a un utilizzo casalingo ma che in questo caso si presta a fare da cedevole supporto. L’artista applica inoltre del tabacco nella parte inferiore del quadro, ottenendo una gradazione di macchie cromatiche. L’opera traduce l’attitudine di Calzolari a dipingere con elementi tratti dalla realtà, che divengono strumenti linguistici in grado di generare nuovi significati. Dopo la mostra personale presso la Modern Art Agency nel 1972, Calzolari, ancora grazie alla mediazione di Lucio Amelio, presenta nel 1977, in una grande retrospettiva a Villa Pignatelli, lavori realizzati tra il 1965 e il 1970 – tra cui l’opera entrata a far parte della collezione del Madre nell’ambito del progetto Per_formare una collezione – insieme a performance e interventi urbani.
[Alessandra Troncone]