Gino Marotta

Gino Marotta, Giardino all’italiana, 1968. Collezione privata, Roma. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante | Gino Marotta, Giardino all’italiana / Italian garden, 1968. Private collection, Rome. On loan to Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Naples. Photo © Amedeo Benestante.

Seppur non inquadrato ufficialmente in alcun gruppo o movimento artistico, Gino Marotta (Campobasso, 1935 – Roma, 2012) è stato nel corso della sua carriera uno sperimentatore assiduo di tecniche e materiali, attraversando in modo originale e trasversale le ricerche d’avanguardia affermatesi in Italia nel corso degli anni sessanta, dalle tendenze Pop e New Dada all’Arte Povera.
Dopo le prime opere pittoriche degli anni cinquanta, Marotta avvia una ricerca polimaterica che si avvale dei materiali più diversi (piombo, stagno, lamine di alluminio, lamiere di ferro) muovendosi tra pittura, scultura e assemblaggio neodadaista.
Negli anni sessanta approda ai materiali sintetici e in particolare al metacrilato (o perspex) con cui dà vita a sculture prodotte in serie grazie a procedimenti di stampo industriale. Il metacrilato, materiale altamente tecnologico e pertanto “freddo”, è scelto in un gioco di contrasto con i soggetti rappresentati, ovvero forme della natura che si rifanno al mondo vegetale e animale.
Marotta inaugura così una ricerca orientata a esplorare e rappresentare la dicotomia tra naturale e artificiale, ricreando scenari immaginari popolati da forme coloratissime e trasparenti, tratte dal mondo della natura ma dichiaratamente fittizie e svuotate di ogni consistenza corporea. Le sezioni ortogonali conferiscono alle sculture tridimensionalità, ma soprattutto la luce, che attraversa questo universo in vitro, è in grado di ricostruirne i volumi, in un gioco di trasparenze e luminosità, presenza e assenza, magia e nostalgia di un eden perduto.
Le sculture in metacrilato di Marotta già raccontano un interesse per la creazione di opere di carattere ambientale, che sconfinano nello spazio e lo ridisegnano, coinvolgendo lo spettatore sul piano sensoriale. Del 1968 è la Foresta di menta, installazione composta da liane di plastica da cui si sprigiona un forte odore di menta, accompagnato da caramelle e liquore alla menta a disposizione del pubblico; vista, tatto, olfatto e gusto sono stimolati contemporaneamente permettendo un’esperienza multisensoriale.
Giardino all’italiana è realizzata solo pochi mesi più tardi, presentata in occasione della mostra Arte povera più azioni povere ad Amalfi per la sezione delle azioni povere che coinvolgono direttamente il centro della città. Una serie di balle di paglia, disposte a formare una linea con un rombo centrale, si snoda in una delle piazze della città, trasformandosi in un punto di riferimento e raccolta per gli artisti partecipanti alla manifestazione ma anche per gli abitanti di Amalfi. Giuseppe Bartolucci, critico teatrale presente ad Amalfi, definirà l’opera “una coda di paglia”, rifacendosi alla relativa espressione idiomatica. A differenza delle creazioni in plastica, qui Marotta sceglie un elemento naturale e povero, portato però a relazionarsi con un ambiente che non le è proprio, ovvero il centro abitato, e riportando l’attenzione sul dialogo-conflitto tra natura e artificio, città e campagna.
Giardino all’italiana si presta a essere un’opera “da vivere”, come dimostrano anche le foto dell’epoca che la vedono abitata dai protagonisti della mostra di Amalfi, seduti a conversare all’interno di questa temporanea ed effimera architettura.
Nell’idea originaria di Marotta, ad Amalfi le balle di paglia avrebbero dovuto prendere fuoco, raccontando un nuovo passaggio dal volume alla linea, così come nelle sue celebri sagome in metacrilato. Tuttavia, a causa della vicinanza di un distributore di benzina, quest’ultima conversione, la vera azione povera, non poté essere compiuta. Nonostante l’impossibile metamorfosi finale, Giardino all’italiana si presenta, grazie alla performatività racchiusa nella fase di allestimento e nella successiva relazione con l’opera da parte del pubblico, come un intervento che rinnega la forma chiusa della scultura tradizionale ed è in continua azione e trasformazione, così come le contemporanee opere degli artisti del gruppo Arte Povera.

AT

Giardino all’italiana, 1968

Attualmente non esposta.