Robert Filliou (Sauve, 1926 – Les Eyzies-de-Tayac-Sireuil, 1987) aderisce nel 1962 al movimento Fluxus, lavorando con ironia sulla mescolanza di generi, sull’aleatorietà del caso e sull’effimero per articolare un approccio all’arte che, guardando allo sconfinamento e alla partecipazione, rendesse superfluo, svuotandolo di significato, il concetto dell’individualità dell’artista.
Il tema della creazione, non legata a una condizione di “privilegio” dell’artista, ma contenuta in tutti gli individui, anche in quelli che normalmente non ne hanno consapevolezza, è il sostrato di tutta la sua ricerca. Le sue opere scardinano quindi anche le barriere dell’arte, condividendo con George Maciunas, Nam June Paik, Emmett Williams, Arthur Köpcke, Josef Beuys la stessa urgenza di contraddire e rifiutare le categorie estetiche tradizionali, operando tra i diversi media, dalla performance all’“action poetry” al video.
Dopo aver studiato dal 1948 al 1951 economia alla University of California di Los Angeles, Filliou partecipa per tre anni, per conto delle Nazioni Unite, a un programma rivolto alla Corea del Sud, esperienza che insieme al viaggio in Giappone gli consente di conoscere la filosofia Zen, che esercitò un ruolo fondamentale nello sviluppo della sua ricerca. Rientrato a Parigi nel 1958, Filliou si dedica alla scrittura, preferendo considerarsi, anche successivamente, più che un artista soprattutto uno poeta-scrittore. L’interesse per la scrittura determina nel tempo una riflessione sulle possibilità del testo di operare sconfinamenti imprevedibili, che danno origine a performance come, nel 1960, Le Collage de l’immortelle mort du monde, trascrizione scomposta e casuale di un testo teatrale, in cui la disarticolazione delle regole convenzionali apre a non sempre controllabili possibilità semantiche.
Nel 1964 fonda, assieme all’architetto Joachim Pfeufer, il Poïpoïdrome, un centro per la “creazione permanente”, basato sull’azione e sulla riflessione. Nel 1965 fonda con Brecht “La Cédille Qui Sourit” a Villefranche-sur-mer, un Fluxushop, studio-negozio e centro culturale chiuso nel 1968, nel quale si vendevano opere d’arte, giocattoli, libri, bigiotteria e “qualunque cosa che abbia o non abbia una cediglia nel suo nome francese” (Brecht).
L’atteggiamento con cui Filliou formula una poetica in contrapposizione a ogni convenzione linguistica è sorretto da una tensione ideale consapevole e definita, così descritta: “non sono solo interessato all’arte ma alla società della quale l’arte è un aspetto. Sono interessato al mondo come a un tutto, un tutto del quale la società è una parte. Sono interessato all’universo del quale il mondo è un frammento. Sono anzitutto interessato alla Creazione costante della quale l’universo è soltanto un prodotto”. Approccio sintetizzato anche nel seguente aforisma, che individua nell’opera una sparizione o limitazione congenita: “quando fai, è arte, quando finisci, è non arte, quando esibisci, è antiarte”.
Filliou, pertanto, concepisce l’arte come una dimensione partecipata che si sviluppa attraverso il coinvolgimento e l’azione collettiva, al di là degli standard del sistema artistico. Da questo principio scaturiscono progetti come l’Eternal Network e La Fête Permanente, con cui sottolinea la condizione dell’artista che agisce all’interno di un’eterna rete di connessioni e la proposta di organizzare (nel 1973) il festeggiamento pubblico per la nascita dell’arte, le cui celebrazioni si svolsero contemporaneamente a Auchen in Germania e alla Neue Galerie d’Aix-la-Chapelle. A Napoli Filliou ha esposto nel 1990 al Framart Studio di Nicola Incisetto, in occasione della mostra Al di là delle pittura con Allan Kaprow e George Brecth.
Il valore “assoluto” dell’idea artistica, la consapevolezza delle fondamenta sociali dell’“atto creativo” di fronte allo scetticismo che politica ed economia possano risolvere i problemi profondi della società, costituiscono la grammatica di un pensiero artistico che l’artista spesso traduce con materiali poveri ed effimeri come le scatole di cartone.
In base a questa pratica di partecipazione e di indistinzione tra artista e pubblico, nel 1971 Filliou realizza Le Territoire de la République Géniale, un’azione concettuale che ha il senso di un’utopia, presentato per la prima volta allo Stedelijk Museum di Amsterdam. In questo spazio utopico e ideale, la gente comune entra in un territorio de-territorializzato, allestito con documenti e fotografie, in cui a varie scatola corrispondono diversi paesi del mondo: interagendo con questa reintepretazione della geopolitica, predisposta dall’artista, il pubblico era chiamato a sviluppare il proprio ‘genio’, nella convinzione, propria dell’artista di Fluxus, che l’insipiente è privilegiato rispetto al savio, in misura proporzionale al proprio talento innato e non ai propri saperi indotti.
In occasione della personale alla Galleria La Bertesca a Milano nel 1972 Filliou accentua, nell’opera di questo ciclo in collezione al Madre, la critica politico-sociale relativa al contesto italiano: sul lato sinistro compare una “dedica/omaggio” agli attivisti Sergio Israel ed Ermanno Beno, mentre l’oggetto in legno sulla destra è un ambiguo rimando sia ad un manganello (in relazione al violento clima di scontro politico degli anni Settanta) sia ad un bastone pastorale, metafora etico-sociale-politica dell’influenza della religione in Italia.
OSdV