Michelangelo Pistoletto

Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967. Collezione Peppino Di Bennardo, Napoli. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante. | Michelangelo Pistoletto, Venus of the Rags, 1967. Collection Peppino Di Bennardo, Napoli. On loan to Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Photo © Amedeo Benestante.

Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) è uno degli interpreti del radicale rinnovamento del linguaggio artistico operato in senso non solo estetico ma anche sociale a partire dagli anni sessanta del secolo scorso e uno tra i protagonisti dell’Arte Povera, momento chiave della storia dell’arte italiana ed internazionale, definitosi nella seconda metà degli anni sessanta e caratterizzatosi per l’utilizzo di materiali primari e poveri (siano essi naturali o prodotti di scarto della società) e l’importanza attribuita alla processualità, alla dimensione performativa del fare artistico e alla relazione dinamica con lo spazio e il tempo dell’opera. Elementi questi che proiettano l’Arte Povera sul palcoscenico internazionale, nella tangenza alle contemporanee ricerche in ambito europeo e statunitense dell’Arte processuale e concettuale.

Il percorso di Pistoletto prende avvio dalla metà degli anni cinquanta; a partire dai primi Quadri specchianti del 1962, lastre di acciaio lucidate a specchio sulle quali compaiono figure in carta velina a grandezza naturale, e passando per i Plexiglass (1964) e gli Oggetti in meno (1965-66), le opere di Pistoletto si qualificano per la sperimentazione incessante, al di là di una tecnica o stile definiti, e parallelamente, per la progressiva integrazione dello spettatore e dello spazio-tempo della realtà nell’opera, prima attraverso le superfici riflettenti dei Quadri specchianti, poi nel confronto reale con gli Oggetti in meno, per l’appunto oggetti – e non sculture – che “non rappresentano ma sono” – dice l’artista, annunciando una svolta in chiave teatrale, di implicazione attiva e diretta, nella sua ricerca.

In Venere degli stracci, del 1967, la tecnica dell’assemblaggio, dell’accostamento apparentemente provocatorio, riunisce il richiamo classico al materiale povero per eccellenza, lo straccio, inizialmente utilizzato per pulire i Quadri specchianti, e ora adoperato nella sua componente materica e cromatica. I brandelli di stoffa colorati sono disposti a formare un’intercapedine fra la riproduzione della Venere con mela dello scultore neoclassico Bertel Thorvaldsen e il muro verso cui la scultura, persa sia autorevole frontalità sia prestigio di fattura (è un calco industriale e seriale), sembra indirizzarsi, suggerendo un’inedita capacità di riciclo e rigenerazione, fra ordine e caos, classicità e modernità.

In Orchestra di stracci, definita da Germano Celant “una sorta di vulcano in eruzione”, i brandelli di stoffa colorati sono disposti a formare una corona, all’interno della quale bollono e fischiano alcuni bollitori. Il vapore da essi prodotto va a condensarsi sulla lastra di vetro che sovrasta gli stracci e impregna i tessuti, facendo dell’opera un’esperienza olfattiva ed uditiva, oltre che visiva. La disposizione degli oggetti suggerisce inoltre la creazione di un’essenziale scenografia teatrale, presentando elementi che ricorreranno anche nelle azioni di Pistoletto con Lo Zoo: gli stracci, i bollitori, i richiami per uccelli.

Gli stracci sono un elemento presente, fra altri, anche nelle opere presentate dall’artista alla mostra-evento Arte povera più azioni povere, tenutasi ad Amalfi nell’ottobre del 1968. Proprio ad Amalfi Pistoletto giunge con stracci, mattoni, candele e la sua Sfera di giornali – poi Mappamondo – allestendo le opere direttamente negli spazi degli Antichi Arsenali della Repubblica e inglobando in tale processo alcune rovine romane preesistenti.

AT

Venere degli stracci, 1967

Attualmente non esposta.

Orchestra di stracci, 1968

Attualmente non esposta.