Carmine Rezzuti

Carmine Rezzuti, “Alfabeto arcaico”, 2014 (dettaglio). Donazione di Tullia Gargiulo Passerini. Collezione Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Sin dagli inizi del suo percorso nel mondo dell’arte, Carmine Rezzuti (Napoli, 1944) avvia una ricerca che si caratterizza per lo spirito ludico con cui crea dipinti, sculture e installazioni ambientali, utilizzando sagome di legno colorate e forme astratte che rimandano a “giuochi fantastici”.

A partire dai primi anni Settanta, Rezzuti comincia ad utilizzare legni e altri frammenti recuperati sulle spiagge che vengono inseriti nei dipinti, inaugurando parallelamente un lavoro sull’immagine fotografica e sulla performance che, riservando attenzione anche nei confronti del sociale, sfocia nella costituzione dell’A/Social Group e nei progetti con i malati psichiatrici dell’Ospedale Frullone, la cui documentazione è presentata alla Biennale di Venezia del 1976.

Nel 1982, su invito di Tommaso Trini, partecipa ad Aperto ’82 (nella sezione Spazio) della Biennale di Venezia: inizia a prendere vita in questi anni il suo bestiario fantastico, con i dipinti che si popolano di mostriciattoli arcaici, ironici, dispettosi tra cui O’mamozio, emblema del parassitismo sociale che ritorna anche in disegni e sculture.

Nel 1988 prende parte alla mostra Paesaggio Sismico presso Villa Letizia, rassegna organizzata dagli Incontri Internazionali d’Arte di Roma di Graziella Lonardi Buontempo. In occasione della presentazione della mostra nella sede milanese di Framart Studio nel 1994, Trini definisce Rezzuti “pittore di favole dure”, attribuendogli il merito di “trasformare le acque del Golfo, col suo bestiario, i fondali eruttivi, e la tettonica vulcanica, in una metafora visionaria del dipingere”.

Nel corso degli anni Novanta Rezzuti, con altri artisti e il poeta Gabriele Frasca, anima l’esperienza di Orologio ad Acqua e nel 1999 partecipa alla mostra Viaggiatori senza bagaglio a cura di Achille Bonito Oliva presso il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa. Il sodalizio con Quintino Scolavino, nato nel 1979, continua fino agli anni più recenti, con le mostre realizzate a Castel Sant’Elmo (2009), al PAN-Palazzo delle Arti di Napoli (2014) e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2012 e 2017).

Alfabeto arcaico, l’opera entrata a far parte della collezione del Madre nell’ambito del progetto Per_formare una collezione. Per un archivio dell’arte in Campania e precedentemente esposta al PAN, al MANN e alla Certosa di San Giacomo a Capri, è un’installazione ambientale che si adatta al luogo che la ospita: intento dell’artista è infatti alterare l’equilibrio di uno spazio dato, reinventandolo creativamente e spiazzandone la percezione ordinaria. Composta da frammenti di legno dalla forma insolita recuperati sulla spiaggia, riassemblati e in alcuni casi dipinti dall’artista, l’opera è un alfabetiere immaginario dalla forte presenza visiva, che richiama arcaici sistemi di comunicazione, pur senza riferirsi a nessuno in particolare.

Afferma l’artista: “Ogni reperto possiede un proprio fascino intrinseco, racconta una sua storia a chi la sappia ascoltare o semplicemente reinventare”, praticando quello che lui stesso definisce un “pronto soccorso estetico” che sottrae questi oggetti “al tempo sconosciuto” (Achille Bonito Oliva) e ad una inevitabile distruzione per “consegnarli allo spazio presente” e dar loro una nuova vita.

Alessandra Troncone

Alfabeto arcaico , 2014 (dettaglio)

Attualmente non esposta

Donazione di Tullia Gargiulo Passerini. Collezione Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Alfabeto arcaico, 2014 (veduta dell'allestimento)

Attualmente non esposta

Donazione di Tullia Gargiulo Passerini. Collezione Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.