Dopo aver frequentato lo Studio dell’artista Carla Accardi a Roma nel 1974, ed essersi dedicato alla ricerca pittorica, Paul Thorel (Londra, 1956) inizia nel 1979 a esplorare la creazione di immagini elettroniche all’Institut National de l’Audiovisuel di Parigi. Negli anni successivi si dedica anche a progetti sperimentali collaborando con centri di produzione TV, industrie informatiche e università, e realizza progetti per il cinema, il teatro e la comunicazione pubblicitaria. Le distorsioni accidentali dell’immagine e il cosiddetto “effetto neve” prodotto dalle turbolenze meteorologiche che, causando la cattiva ricezione del segnale audiovisivo sullo schermo, imponevano il regolamento dell’antenna televisiva, hanno contribuito a definire uno sguardo mobile e immersivo, un’attrazione verso l’alterazione dell’immagine che, all’inizio degli anni Ottanta, conduce Thorel ad essere tra i primi artisti europei ad esplorare le tecnologie digitali nella pratica fotografica. L’artista inizia in quel momento a dedicarsi al trattamento digitale dell’immagine, alla sua scomposizione in righe, ombre e tratti indistinti. Dal 1982 Thorel pubblica il risultato di questa ricerca in corso su riviste internazionali di fotografia quali “Aperture”, “Originale”, “Zoom”, “Photographies Magazine” e su diversi quotidiani e settimanali italiani.
A partire da un’immagine reale, l’artista ne scompone il tratto riconoscibile in linee orizzontali, laterali e oblique creando un panorama rarefatto e indefinito, che solo uno sguardo “distante” e visionario, opposto all’iperrealismo proprio del mezzo fotografico, può ricomporre imperfezioni o vibratili effetti di ombreggiatura, vere e proprie figure e volti, immersi nel loro contesto: Ritratti, come quelli presentati in occasione delle mostre personali presso il Castello Svevo di Bari (2002), il MANN-Museo Archeologico Nazionale di Napoli (2003) e l’Institut Français di Firenze (2009). “Se ti avvicini troppo, non vedi”. La distanza della visione, la suggestione dello sguardo, l’intuizione primitiva della figurazione, che sia essa un volto o un paesaggio, costituiscono il vocabolario di questa personalissima astrazione: quelle che ad un primo impatto sembrano per l’appunto solo successioni di tratti digitali scomposti, si ricompongono in maniera trasversale facendo comparire, davanti ai nostri occhi, qualcosa di inatteso: l’orizzonte di una figurazione subliminale e ipotetica. Percezione e intuizione, trasversalità e obliquità, movimento televisivo e informatico contrapposto alla stasi fotografica sono i concetti fondamentali nella ricerca di Thorel. “Lo sguardo obliquo è uno sguardo che sfugge e che ti porta a metterti al lato delle cose in modo da perdere quella lucidità che non darebbe spazio al caso. Non essere troppo lucido, perdere la concentrazione, percepire anziché guardare, lasciare posto alle apparizioni, sono parte integrante dei miei strumenti di lavoro al pari della macchina fotografica e del computer”.
Come scrive Greta Travagliati, la ricerca di Thorel costituisce in questo senso un momento di sintesi nella “sperimentazione e riflessione sul ruolo della fotografia nella cultura contemporanea”. Il transito dalla scomposizione digitale alla ricomposizione reale dello sguardo, “il passaggio” dall’assenza di visione all’intuizione sono gli elementi interpretativi che nell’installazione site-specific Passaggio della Vittoria, realizzata appositamente per il Madre e presentata nell’ambito del progetto Per_formare una collezione. Per un archivio dell’arte in Campania, si manifestano nel loro significato più emblematico, costituendo l’opera più compiuta realizzata ad oggi dall’artista.
Il grande mosaico in grès porcellanato e smaltato ottenuto per pressatura, posato sulle quattro pareti del passaggio che congiunge il Cortile centrale del museo al Cortile delle Sculture, è ispirato al mosaico bianco che ricopre la volta della Galleria della Vittoria, il condotto carraio lungo 609 metri terminato nel 1929 che collega la città di Napoli da est ad ovest e viceversa, con ingressi speculari e terminali fra via Acton sul fronte del Molo Siglio, ai piedi di Palazzo Reale e ai limiti fisici del quartiere San Ferdinando, e nel cuore del Rione della Vittoria, precisamente allo storico incrocio tra via Chiatamone, via Giorgio Arcoleo e via Domenico Morelli. La galleria è stata una delle prime grandi opere urbane per dimensioni e per le soluzioni tecnologiche intraprese del regime fascista. Un’opera altrettanto monumentale quella realizzata dall’artista per il Madre, con il supporto di Mutina for Art: un mosaico di 150 mq, realizzato con 1.832.400 tessere di 1×1 cm, decorate a freddo con macchine digitali. Un insieme di forme, segmenti, parabole, orizzonti e colori, su fondo bianco, che accompagnano il visitatore da un punto all’altro del suo percorso di visita. Come nella serie Tapestries, anche in questo caso la visione parte da centinaia di fotografie di vedute marine, tema ricorrente nell’opera di Thorel a partire dagli anni Ottanta – congiungendo l’amata Napoli, dove l’artista vive, all’isola di Panarea che l’accoglie nei momenti di pausa e riflessione.
Riappropriandosi del pixel non più sullo schermo, ma sulla superficie muraria attraverso la forma del mosaico, Thorel ci restituisce, in una tessera di porcellana 1×1 cm, la realtà materica che quei piccoli punti luminosi, al di là ed oltre l’immagine digitale che compongono insieme a milioni di altri pixel, sono in grado di evocare: i raggi del sole, il riflesso della luce sui palazzi partenopei con le loro variegate colorazioni, l’argentea increspatura delle acque azzurre, l’iridescente colore degli elementi arborei e floreali… la magnificenza di uno sguardo che seleziona, memorizza, scompone, ricompone e ricostruisce la rappresentazione del reale intorno e dentro di noi.
[Silvia Salvati]