Sin dai primi anni sessanta Gianfranco Baruchello (Livorno, 1924) ha sviluppato una delle pratiche artistiche più sperimentali del panorama italiano, esplorando la pittura, l’installazione, l’assemblaggio, il film, la fotografia e il sonoro, ed espandendo la ricerca visiva ben oltre gli ambiti linguistici tradizionali, lavorando con gli strumenti dell’agricoltura, dell’antropologia e dell’economia come forme di analisi critica della società dei consumi.
Gianfranco Baruchello: il mio cinema è il titolo di un progetto espositivo che si articolerà in più appuntamenti nell’arco di un anno e che presenterà la relazione dell’artista con l’immagine in movimento, l’universo cinematografico e televisivo. Ciascuno di questi appuntamenti indagherà un particolare aspetto della produzione filmica di Baruchello, evidenziandone i temi e le modalità formali.
Una settantina di idee, 1964-1970 (2013) è l’unica opera presente sin dalla prima installazione di questo progetto ed è l’unica che rimarrà in visione sino al suo compimento: essa è una sorta di archivio ideale in forma di testo a parete, un lungo elenco composto di idee, spunti e soggetti per possibili film, alcuni dei quali sono stati realizzati mentre altri sono rimasti sulla carta. Quest’opera stabilisce un asse fondamentale per l’intero progetto Per_formare una collezione: l’opera d’arte come “possibilità”, come ipotesi colta nel suo divenire, come forma di un processo che non è soltanto un documento del passato ma anche un’opportunità per il presente e una proiezione nel futuro.
La prima installazione, presentata nel giugno-dicembre 2013 nell’ambito della mostra Per_formare una collezione #1, è stata dedicata al tema e alla tecnica del montaggio, un aspetto fondamentale di tutta l’opera di Baruchello e che si estende anche agli ambiti della pittura e dell’assemblaggio. Nel video Notizie in due minuti (2008) la telecamera scorre, nell’arco di due minuti, l’intero contenuto di un numero de “Il Corriere della Sera”. Lo spunto nasce dal titolo omonimo della colonna presente nell’ultima pagina del quotidiano, nella quale sono riportate le più importanti notizie del giorno in forma riassunta: l’opera assume come principio compositivo l’imperativo a un consumo veloce e sincopato di notizie, e costituisce un commento alla percezione accelerata del tempo e della realtà.
Nella seconda sala è proiettato il film Verifica incerta (Disperse Exclamatory Phase), realizzato tra il 1964 e il 1965 in collaborazione con Alberto Grifi. Verifica incerta è un’opera basata su un utilizzo radicale tanto di materiale pre-esistente quanto della tecnica del montaggio ed ha anticipato di anni le pratiche di appropriazione e di campionamento divenute popolari a partire dalla fine degli anni Settanta. Il film è composto di materiale di scarto cinematografico, oltre 150.000 metri di pellicola proveniente da cinema commerciale americano degli anni Cinquanta e Sessanta destinata al macero e che Baruchello ha montato con il nastro adesivo. Immagini e sequenze provenienti da narrazioni differenti sono accostate in modo da creare sospensioni e inversioni delle sceneggiature originali, con il risultato di ottenere l’opposto del procedimento classico di scrittura filmica: qui la sceneggiatura è il risultato del montaggio e non il punto di partenza. La parte del titolo tra parentesi (Disperse Exclamatory Phase) fa riferimento al progetto – in seguito non realizzato – di disperdere, al termine della prima proiezione, i fotogrammi donandoli al pubblico, in modo da ri-distribuire nuovamente il materiale appropriato. Presentato nel 1965 al convegno del Gruppo 63 a Palermo, questo film è un’opera fondamentale nel contesto di quelle pratiche che – come possiamo constatare anche attraverso l’opera di Nanni Balestrini – mettono in discussione il concetto di autore e analizzano i meccanismi della creazione artistica attraverso l’appropriazione e la re-invenzione di materiali esistenti.
Nella terza sala troviamo una serie di disegni preparatori che chiariscono il procedimento di montaggio seguito nella produzione di Verifica incerta, secondo un’idea di narrazione che prende in considerazione anche la natura materiale dell’immagine e del suo supporto. Completa il percorso l’opera Tre lettere a Raymond Russel (1969), un film in tre parti: 1-Limbosigne, 2-A little more Paranoid, 3-La degringolade. Materiali filmici “trovati” e materiali originali sono montati a formare tre diversi nuclei narrativi, mentre il sonoro è il prodotto assemblando registrazioni di sogni al momento del risveglio notturno. Anche in questo caso Baruchello orchestra immagine e pensiero, materiale filmico e percezione soggettiva, decostruzione, narrazione e memoria.
La seconda installazione, presentata nel dicembre 2013-giugno 2014, nell’ambito della mostra Per_formare una collezione #2, è dedicata all’analisi delle relazioni tra potere e mass-media, attraverso una serie di opere tutte prodotte nel 1968, nel pieno della crisi della guerra in Vietnam e della stagione della contestazione giovanile. Questi brevi film – parlando dei quali l’artista ha dichiarato che sono nati dal desiderio di “comunicare ai terzi il pessimo umore che ho per come vanno le cose intorno a me” – indagano con ironia critica come gli strumenti dell’informazione determinino la percezione globale dei conflitti.
Ciascuna delle opere filmiche presenti in questo secondo capitolo di Gianfranco Baruchello: il mio cinema è contrassegnata dai toni surreali, se non addirittura grotteschi, con cui sono inscenati atti di violenza, alcuni dei quali appaiono gratuiti e oscuri mentre altri sono riconducibili alla logica della guerra e della dominazione: la finta crocifissione di una mano, il rituale che precede un’esecuzione, la macellazione e il seppellimento di un tacchino, l’annegamento di un sacco pieno di bambolotti. Se alcune sequenze fanno riferimento al processo di rimozione degli avvenimenti traumatici dalla coscienza collettiva e dalla memoria storica (nel finale di Complemento di colpa, ad esempio, vediamo un bambino gettare del detersivo sul luogo che è appena stato teatro di un eccidio) altre narrazioni si rifanno al consumo del dolore altrui attraverso lo spettacolo offerto dai media.
Un motivo costante è quello della perdita dell’innocenza, non soltanto legata all’immagine dell’infanzia violata – il sonoro di Perforce è costituito da voci di bambini vietnamiti registrate durante un bombardamento – ma, più in generale, come abbrutimento del sentimento morale ed etico di una cultura che consuma la morte come un carosello e che non discerne più tra integrità e mediocrità, tra la coscienza e la sua perdita. Il senso dell’affievolirsi progressivo della distinzione tra valori e stati d’animo contrapposti è enfatizzato dall’equivalenza visiva che è stabilita tra le cose: una bambola è come un cadavere e una canzone rock è come un inno militare. Emerge, in questo senso, la vicinanza di Baruchello a una serie di esperienze come il collage dadaista e di denuncia politica e sociale di John Heartfield, l’uso della caricatura in chiave polemica di George Grosz, la violenza degli assemblaggi Fluxus di Wolf Vostell e l’uso del montaggio cinematografico di Jean-Luc Godard.
La terza installazione, presentata nel giugno 2014 nell’ambito della mostra Per_formare una collezione (Intermezzo) e attualmente in corso, è dedicata all’attenzione che l’artista ha sempre riservato agli aspetti più marginali della realtà e alla quotidianità più prosaica. Puntando l’obiettivo della telecamera su oggetti, azioni e momenti che non hano nulla di speciale, o avvincente, Baruchello sottrae all’immagine in movimento la sua natura narrativa e spettacolare ed esplora il tempo come pura “durata”. Nei sette minuti di Non accaduto (1969) gli avvenimenti sono ridotti al minimo e appaiono non degni di nota: nonostante questo, la registrazione quasi impassibile di una comune giacca appesa a un balcone scivola lentamente in analisi dei meccanismi di percezione, in cui i confini tra realtà e illusione si rivelano alquanto labili. I più recenti Nodi (1999), In bilico (2006) e Pensare a piega (2006) compongono insieme un’ideale trilogia di gesti minimi, il cui “non-valore” diventa un invito a porgere attenzione, o addirittura a contemplare gli aspetti più ordinari della realtà.
In un certo senso tutta l’arte di Baruchello è una riflessione sul valore delle cose al di là e a prescindere dalla loro apparente nobiltà, al di fuori dagli schemi di valore forniti dall’ideologia, dalla tradizione e dai sistemi di credenza. Traendo spunto dalla lezione di un artista come Marchel Duchamp, Baruchello non solo riattiva la tradizione del ready-made (l’oggetto trovato che diviene opera d’arte non appena scelto dall’artista e inserito nel museo) come sguardo laterale e inatteso sulla dimensione della banalità ma, a un livello più profondo, riprende la categoria duchampiana dell’indifferenza come momento creativo e produttivo. Il nuotatore di cui seguiamo la traiettoria ne La traversata (2006) diventa, quindi, una metafora della vita come forma di “resistenza”, come sforzo fisico, quotidiano e instancabile, e, allo stesso tempo, come semplice esistere, puro “esserci”.
AR