La pratica artistica di Lino Fiorito spazia dal teatro al cinema alle arti visive, con un’attitudine sempre contraddistinta dall’interesse per la dimensione visiva e scenica dei singoli progetti. Fondamentale l’incontro, alla fine degli anni Settanta, con Mario Martone, Angelo Curti, Andrea Renzi, Pasquale Mari, Daghi Rondanini, con i quali avrebbe formato il gruppo “Falso Movimento”. Da quest’esperienza nascono numerosi spettacoli come Tango Glaciale, Otello, Il desiderio preso per la coda, Coltelli nel cuore, Ritorno ad Alphaville (1986) che è anche l’ultimo spettacolo del gruppo. Nel 1985 firma con Mario Martone le scene per La vedova allegra con la regia di Mauro Bolognini, ancora per Martone, nel 1989, crea le scene e i costumi per Woyzeck. Il suo lavoro è immediatamente contaminato dal fervore creativo di quegli anni e dalla mobilità degli interventi teatrali nei cosiddetti “spazi alternativi”. L’originalità della visione prevale in questo periodo sulla costruzione della scena e i bozzetti prodotti da Fiorito sono spesso trasformati in diapositive proiettate alle spalle degli attori o addirittura realizzati in formato tale da diventare veri e propri fondali scenici. I bozzetti sono realizzati con rapidità nel corso delle prove, in forte simbiosi con il lavoro del regista e degli attori, e in seguito troveranno ulteriori soluzioni tecniche per la realizzazione delle scene e dei costumi. Nel 1986, dalla fusione di “Falso Movimento” con il “Teatro dei Mutamenti” e il “Teatro Studio” di Caserta, nasce “Teatri Uniti”, un progetto teatrale che coniuga la tradizione teatrale con la sperimentazione di una nuova spettacolarità. L’approdo al cinema avviene negli anni successivi, con Tonino De Bernardi, Paolo Sorrentino e Antonio Capuano. Nel 1986 Fiorito fonda a Napoli con altri artisti la galleria “Idra Duarte”, uno spazio no-profit che ha esposto nel corso degli anni il lavoro di numerosi giovani artisti.
Alla base di questo lavoro eterogeneo quanto coerente è una pratica dell’arte intesa come laboratorio creativo, invenzione libera e riflessiva. La sua ricerca agli esordi è caratterizzata da accesi accenti metropolitani, da linee scheggiate attraversate da una figurazione ritmica e bidimensionale, gradualmente sostituita da un’astrazione a tratti minimale a tratti vagamente onirica, evidente anche nel lavoro site specific realizzato per il Madre (Senza titolo, 2013) , una tenda-sipario all’ingresso della grande sala-palcoscenico al piano terra. È questo il primo sipario commissionato dal museo, in cui due grandi elementi circolari bianchi si stagliano su un fondo di velluto nero ad evocare due fasci di luce che illuminano due ipotetici attori, suggerendo un processo di identificazione con gli stessi visitatori al cospetto dell’opera.
Ciò che è costante nella ricerca di Fiorito, pur nella sostanziale diversità delle scelte stilistiche, è un’efficacissima precisione compositiva che dona all’immagine una forza espressiva vivace quanto contenuta e un sensibilissimo senso del colore realizzato nel gioco inquieto del segno e dei vibranti contrasti cromatici e chiaroscurali. La sua è una ricerca sospesa tra caos e rigore, stasi e movimento, elementi concreti e visionari che si sfiorano e convergono in una geometria inesatta, in incontri inattesi. Sospeso tra surreale e reale, Fiorito mette in campo quasi un’operazione di scansione geometrico-onirica, tesa a rilevare l’eccezionale nel banale, il fantastico nel quotidiano, un viaggio mentale teso ad indicare percorsi iconici possibili che si spingono oltre le soglie della rappresentazione.
[Eugenio Viola]