La pittura di Domenico Bianchi si presenta come una personale riflessione sui modelli costruttivi e sulle dinamiche sensoriali del quadro attraverso l’evidenza geometrica delle figurazioni spesso richiamate verso un centro focale e una sensualità morbida e lucente di superfici, come la cera ed il legno, cesellate con perizia amorosa. L’impressione poetica ed estetizzante delle sue composizioni, in fondo del tutto insignificanti e forse proprio perché tali, viene dalla grazia e dalla lucentezza di una scrittura che, come nello haiku giapponese, non approda a nulla, ma può prolungarsi all’infinito conservando la freschezza e lo splendore dello sguardo iniziale. Con Bianchi la pittura torna ad essere una sostanza immutabile che contiene in sé ogni possibilità di sviluppo consentendo alla figurazione di replicarsi dal piccolo al grande schermo o come nella ricerca più recente (vedi l’opera realizzata per il Madre) di espandersi all’ambiente circostante in una risoluzione spaziale che si confronta criticamente con il contesto in cui è esposta.