Nel corso del 2015 il museo Madre ha commissionato all’artista francese Daniel Buren (Boulogne-Villancourt, 1938) il progetto in situ Axer / Désaxer. Lavoro in situ, 2015, Madre, Napoli – #2, che, collocandosi nell’area di ingresso, luogo dell’immediato incontro fra il museo e il suo pubblico, celebra la relazione fra l’istituzione museale e la sua comunità, in occasione dei primi dieci anni di attività del museo. Uno dei massimi artisti contemporanei, Buren è autore di un’opera in cui la valenza visiva è sempre associata a quella teorica e il cui elemento emblematico potrebbe essere riassunto nella comprensione e utilizzo della nozione di in situ: espressione con cui l’artista stesso indica la stringente interrelazione fra i suoi interventi e i luoghi espositivi e urbani in cui essi sono realizzati.
Axer / Désaxer. Lavoro in situ, 2015, MADRE, Napoli – #2 è costituito da un intervento di dimensioni architettoniche, concepito dall’artista appositamente per l’atrio del museo. Affacciato in modo obliquo rispetto alla via antistante, l’edificio del museo viene fatto “ruotare” dall’intervento dell’artista per rimettersi in asse verso l’antistante Via Settembrini: attraverso strisce di marmo bianche e nere di 8,7 cm (una delle caratteristiche ricorrenti degli interventi in situ dell’artista) il pavimento dell’ingresso suggerisce un’inedita via di fuga e un potenziale asse prospettico rettilinei all’asse stradale, facendo in modo che il museo esca da se stesso per abbracciare la città intorno, mentre una struttura-padiglione, composta da superfici colorate e di specchi, riverbera ed esalta questa nuova assonometria immaginaria. In questo modo l’artista agisce sul punto di vista dello spettatore, creando uno spazio di mobilità percettiva e cognitiva, di visione, mediazione, attrazione e comunione reciproche, in cui interno ed esterno, museo e comunità si compenetrano l’uno nell’altro, fino a confondersi fra loro. Ogni visitatore è così accolto e invitato, letteralmente a colpo d’occhio, a far parte dell’opera, a partecipare attivamente alla relazione che essa celebra fra la sfera istituzionale e le dinamiche pubbliche. L’opera diviene così una vera e propria celebrazione pubblica del museo e di tutti i suoi visitatori, entrambi elementi integranti e collaboranti del concetto di opera in situ. Iscrivere le opere nel contesto in cui sono esposte, relazionarsi alla missione sociale che motiva l’istituzione museale, contrapporre una modernità che non ricerca il contrasto con la sfera urbana o la dimensione storica, ma ne esalta la matrice: questo il significato dell’opera.
Formatosi all’École des Métiers d’Art di Parigi, Buren ha basato la sua ricerca e la sua produzione, a partire dalla metà degli anni Sessanta, su una stoffa da tende a righe, alternativamente bianche e colorate, dallo spessore standard di 8,7 cm. Scelta di rigore e criterio volto all’essenzialità che esplora e mette in questione i limiti della pittura. Più recentemente, a partire dagli anni Ottanta, Buren ha progressivamente accostato – con eccezionale continuità e coerenza nell’approccio plurale al contesto di presentazione in situ – la realizzazione di opere di formato museale ad installazioni architettoniche in spazi pubblici. Uno dei più influenti esponenti della riflessione storica sulle istituzioni, sviluppatasi fra gli anni Sessanta e Settanta e denominata Institutional Critique, Buren è profondamente legato alla città di Napoli, dove è intervenuto più volte (a partire dalle sue mostre presso la galleria di Lucio Amelio, nel 1972 e 1974, fino alla mostra personale al Museo di Capodimonte, nel 1989). Dopo la sua partecipazione ad alcune delle più importanti mostre degli ultimi decenni, da When Attitudes Become Form (1969) a varie edizioni di Documenta (1972-1982), nel 1986 l’artista ha partecipato alla 42a Biennale di Venezia, aggiudicandosi il Leone d’Oro per il miglior Padiglione Nazionale. Mostre personali gli sono state dedicate dai più importanti musei del mondo, mentre fra i molti interventi in situ è possibile ricordare Les Deux Plateaux nella corte d’onore del Palais Royal (1986) e Excentrique(s) realizzato, sempre a Parigi, al Grand Palais, in occasione di Monumenta (2012).
[Andrea Viliani/Eugenio Viola]