Dan Graham (Urbana, 1942) è considerato uno degli artisti concettuali di maggiore rilievo del XX secolo ed è stato attivo, fin dall’inizio degli anni Sessanta, sia come critico e curatore sia come artista, realizzando video, sculture e installazioni. Nel 1964 Graham fonda a New York la John Daniels Gallery, che ospita numerose mostre di artisti minimalisti americani, come Dan Flavin, Donald Judd, Sol LeWitt e Robert Smithson. A partire dalla fine degli anni Sessanta l’artista si dedica assiduamente al video e alla performance, con opere che configurano il tema dell’architettura come spazio relazionale e percettivo. La telecamera e il video non sono utilizzati da Graham con intento narrativo, ma come parte attiva di un dialogo tra differenti media, nell’ambito di una riflessione meta-linguistica e di natura filosofica sui concetti di spazio, tempo e conoscenza.
Tra i lavori più emblematici di questa fase di ricerca è Time Delayed Room (1975), un’installazione composta da due stanze simmetriche e connesse tra loro. Nel punto di passaggio tra i due spazi sono installate due telecamere a circuito chiuso che riprendono l’interno delle due stanze e che inviano le immagini ai due monitor collocati in ciascuno dei due spazi: in ciascuna stanza le immagini di ciò che accade nello spazio adiacente sono trasmesse live e con un ritardo di 8 secondi, un intervallo di tempo calcolato in base a studi neurologici che individuano il tempo necessario alla memoria a breve termine per analizzare l’esperienza del presente. L’installazione crea un effetto di profondo disorientamento, poiché il nostro cervello tende a identificare le immagini differite come il presente e non, invece, come il passato.
Le opere di Graham innescano quindi una profonda riflessione sulla nostra percezione del tempo e sulla memoria, nonché sull’esperienza del nostro corpo nello spazio. Tale ricerca assorbe l’interesse dell’artista per tutti gli anni Settanta ed è espressa attraverso numerose installazioni e performance in cui ricorre l’uso di telecamere a circuito chiuso, video, specchi e altri dispositivi che esplorano i concetti di spazio, tempo, identità e percezione. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta queste tematiche generano un’ambiziosa serie di installazioni sospese tra lo spazio della scultura e quello dell’architettura, i cosiddetti Pavillions (“Padiglioni”), strutture in vetro, ferro e materiali specchianti, costruite in luoghi pubblici e accessibili ai visitatori.
Anche nel caso di queste installazioni – di cui qui si espongono in collezione i modellini originali costruiti da Graham per commissionarne la produzione – il pubblico è invitato a prendere parte a un dialogo con l’opera e con lo spazio-tempo in cui essa è collocata. Le superfici di questi ambienti giocano con gli effetti specchianti o di trasparenza del vetro e con la distorsione creata dalle superfici curve, modificando così la nostra percezione e conducendo lo spettatore a un esercizio di consapevolezza del proprio corpo nello spazio e nel tempo. I modellini in collezione evocano la fase preparatoria di quest’ambito della ricerca di Graham: così come gli esempi di Architettura Radicale esposti in questa sala – nelle opere di Dalisi, Sottsass e Superstudio -, anche il lavoro di Graham pone la struttura architettonica a servizio dell’esperienza del pubblico e, decostruendo il concetto di “spazio (e tempo) pubblico”, apre a una riflessione sul ruolo dell’architettura nei processi democratici.
[Alessandro Rabottini]