Rebecca Horn

Rebecca Horn, Spirits, 2005. Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Nel corso della sua carriera, l’artista tedesca ha sperimentato i mezzi di espressione più disparati, dalla scultura alla performance ai film. Dopo aver realizzato nei primi anni ’70 video che riproducevano le proprie performance e i propri travestimenti, con appendici e prostatici del corpo umano, dal 1978 Rebecca Horn ha realizzato tre lungometraggi di fiction (Die Eintäzer, 1978; La Ferdinanda, 1981; e Buster’s Bedroom, 1990) in cui accosta il proprio immaginario visivo a trame intricate e simboliche, con un costante riferimento a personaggi-simbolo come il musicista, l’attrice, la ballerina, l’infermiera, di cui ognuno è un prototipo psicologico o fantastico e trame in cui i protagonisti vivono in realtà fittizie ed isolate dal mondo. Fondamentale nella sua ricerca è il ricomporre momenti di vita, di storia per chi ne è stato o ne è protagonista e ricavare significati più estesi di essi per un superamento del reale, del contingente in nome dell’ideale, del trascendente e di volerla proporre nei modi più accessibili al pubblico. Da uno dei teschi (“capuzzelle”) del Cimitero delle Fontanelle di Napoli ha ricavato, in ghisa, le riproduzioni collocate nella sua sala al Madre e precedentemente installate a Piazza Plebiscito, sorvolate da cerchi di neon illuminati d’una luce color madreperla. Intenzione dell’artista è suscitare negli spettatori la sensazione di assistere ad un fenomeno di continuità, di procurare l’idea d’una vita che neanche la morte conclude dal momento che la rende partecipe dell’eternità. La musica che si diffonde nella sala è in realtà il canto di una voce sola, quella del musicista Hayden Danyl Chisholm, capace di articolare in simultanea suoni diversi e diverse tonalità.