Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte e l’Accademia di Belle Arti di Napoli e il Gruppo P.66 di Luca (Luigi) Castellano, Giuseppe Maraniello (Napoli, 1945) si trasferisce nel 1971 a Milano, dove avvia un’iniziale sperimentazione fotografica. Nel 1973, presso lo Studio Morra di Napoli, espone Momenti del mio tempo intimo, mentre nel 1977 abbandona l’espressione fotografica verso un’esplorazione che ibrida fra loro, portandoli a un’ipotetica sintesi formale, i linguaggi della pittura, del disegno e della scultura.
I dipinti di questi anni – tra i quali l’opera in collezione, Il diavolo è verde (1979), rappresenta uno dei primi capolavori – sono caratterizzati da una stesura cromatica apparentemente uniforme ma in realtà vibratile: come scrive l’artista, “i contrari, gli opposti, li ho ricercati soprattutto nei colori; per me il colore è una sorta di diaframma. A volte preannunciava un lato, il retro, ove c’è il suo complementare. Spesso in passato bucavo le tele; ad esempio una verde, come nel caso di Il diavolo verde. Già nella dichiarazione ‘il diavolo è verde’ io sto affermando il suo contrario, perché il diavolo nell’immaginazione collettiva è rosso”.
Queste opere mobili, popolate da richiami fantastici, sono inoltre spesso solcate da figure in bronzo, spesso di piccole dimensioni, collocate dentro e fuori lo spazio della tela: figurine dell’immaginario, ascrivibili a citazioni di Jorge Luis Borges (il serpente anfesibena, che si muove contemporaneamente in due direzioni) o, nei loro incerti equilibri spazio-temporali, affidate all’iconografia di ermafroditi, atleti saltatori e centauri in lotta. Il richiamo a una arcaicità intrisa di valenze aperte all’interpretazione, oscillante fra archetipo, folklore primitivo, spiritualità antica, conferisce a queste opere un’aura che restituisce equilibrio alle dissonanze dei materiali e degli oggetti che le compongono, fra cavi, aste, legni legati, ciotole di polvere di colore.
La narrazione delle opere di Maraniello, sempre sospese fra intimismo del gesto pittorico-disegnativo e dinamismo di quello scultoreo, emerge da una matericità sempre protesa nella direzione della ricerca di una possibile assenza, piuttosto che dell’affermazione di una presenza statica e autodefinita, aprendo – sul filo della relazione fra bi- e tri-dimensionalità – ad un gioco fiabesco di vuoti e di sottrazioni, dai contorni impalpabili come quelli che separano storia e leggenda. A partire dagli anni Ottanta Maraniello realizza opere pittoriche multimateriche, dando seguito a una pittura-oggetto in cui compaiono cera, das e legni grezzi. Con la mostra Dieci anni dopo i nuovi, curata da Francesca Alinovi, Renato Barilli e Roberto Daolio nel 1980, viene sancita la nascita del gruppo “Nuovi nuovi”, a cui l’artista napoletano è in quel momento accostabile, pur assecondando una ricerca personalissima, che dal 1983 si concentra sulla scultura di grandi dimensioni, fino ad espandersi nello spazio pubblico, riprendendo titoli letterari, evocativi di un immaginario stratificato e continuamente reinterpretato.
OSdV