Manfred Pernice (Hildesheim, 1963) è tra gli artisti che maggiormente ha contribuito a definire l’estetica legata alla Berlino post-unificazione, un’estetica fatta di trasformazione e di rovine urbane, di memoria post-bellica e di reinvenzione socio-economica. Dopo gli studi a Braunschweig e a Berlino, nel 1990 Pernice si trasferisce nella capitale tedesca, in un periodo in cui la città inizia ad attrarre artisti, architetti, scrittori e musicisti, trasformando il momento della riunificazione in un’esplosione di energia creativa. Il lavoro di Pernice – prevalentemente incentrato sulla scultura e sull’installazione – trattiene in sé il concetto di continua trasformazione urbana che ha caratterizzato Berlino per oltre un decennio ma non esita ad affrontare anche agli aspetti più complessi e problematici della storia politica e culturale della capitale tedesca e della Germania riunificata.
Nel lavoro di Pernice l’architettura moderna – o ciò che spesso rimane di essa – diventa un palinsesto di narrazioni incrociate, la filigrana attraverso cui è possibile individuare i rimossi della storia, i traumi mai sopiti, le idiosincrasie della politica e dell’ideologia. È per questo motivo che le sue sculture – che spesso assumono le dimensioni e l’articolazione spaziale dell’installazione – sono realizzate con materiali e oggetti di recupero come compensato, frammenti d’arredo e container industriali, superfici e oggetti che tradiscono una natura transitoria e un trascorso recente. Queste strutture sono spesso il frutto dell’aggregazione di volumi e materiali eterogenei tra loro, come a raccontare il meccanismo dello sviluppo urbano fatto di una continua dialettica di demolizione e costruzione, e vengono spesso arricchite da elementi diversi come fotografie, ritagli di giornali, schizzi o disegni, brani di immagini e video, che hanno la funzione di alimentare una molteplicità di narrazioni sovrapposte, in modo da fondere tra loro memoria individuale e Storia, vissuto personale e coscienza collettiva. Di questa moltitudine di percezioni temporali l’architettura diventa specchio e cassa di risonanza, in un’indagine sulla ricaduta dell’ideologia e della Storia nello spazio abitabile e percorribile, su scala sia domestica sia urbana.
Le opere qui esposte – entrambe Senza titolo – sono state presentate a Napoli nel 2009, in occasione della mostra personale dell’artista presso la Galleria Fonti intitolata Mauerstüke (“Pezzi di muro”), con un evidente riferimento tanto alla specificità del Muro di Berlino quanto al concetto di “muro” in generale. L’artista qui si avvale di materiali estremamente economici come legno, compensato, metallo e fotografie, per realizzare strutture al tempo stesso semplici e complesse, in cui gli elementi dialogano fra loro per suggerire nuove reti di significato. In entrambi i lavori elementi desunti dallo spazio urbano e domestico sono emancipati dalla loro natura funzionale e attivano una sottile critica nei confronti dell’architettura percepita come valore eterno e perentorio, a favore di un’idea dello spazio abitativo provvisorio e fragile. È questo anche il motivo per cui l’opera di Pernice è esposta nella stessa sala insieme con il lavoro di esponenti del movimento dell’Architettura Radicale come Superstudio e Riccardo Dalisi e alle serie fotografiche di Ettore Sottsass, nelle quali gli archetipi dell’architettura sono ritratti in tutta la loro transitorietà.
AR