Luigi Mainolfi (Rotondi, 1948) lascia Napoli nel 1973, dove aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti e dove aveva dato avvio alle esperienze comportamentali con il nome di Mainolfi VIII. Stabilitosi a Torino, l’artista si inserisce nel clima artistico sperimentale di quegli anni, perseguendo una ricerca di matrice performativa che indaga il rapporto fra corpo, gesto e scultura. In questa stagione, dal 1972 al 1978, realizza lavori, tra cui l’opera in collezione Senza titolo (Esploso), 1978, indirizzati a indagare lo sdoppiamento sia fisico che mentale della propria immagine, utilizzando calchi in gesso o in cera del proprio corpo che vengono lasciati consumare nell’acqua, fino a degradarsi in pura materia plastica (Cavriago, 1977) o fatti precipitare dall’alto (Galleria Civica di Bologna, 1977), acquisendo una vitalità performativa che conferisce a queste sculture impermanenti una valenza archetipica e una consistenza onirica. A queste ricerche fa seguito, dai primi anni Ottanta, una riflessione sui materiali scultorei e sulle loro potenzialità espressive che si incarna in composizioni plastiche in cui l’artista esplora e reinterpreta i diversi materiali che utilizza e le diverse simbologie a cui fa riferimento.
Del 1981 è la sua prima personale torinese alla Galleria Tucci Russo, dove espone La Campana, realizzata in gesso tra il 1979 e il 1980: con questa enorme struttura tridimensionale, segnata sulla superficie da solchi di iconografia e abitabile al suo interno, Mainolfi dà inizio a un’indagine sulla scultura eccentrica rispetto alle ricerche di quegli anni. La terracotta policroma, in particolare, assume un ruolo centrale per la sperimentazione di un linguaggio scultoreo attraverso il quale l’artista costruisce, in continuità con la ricerca performativo-scultorea degli anni Settanta, una personale mitografia che, sviluppando la morfologia della fiaba, si articola in un inedito itinerario di forme organiche in cui la superficie e il volume, la pelle e la forma scultoree, si coniugano continuamente fra loro: Nascita di Orco ed Elefantessa (1980), esposto a Documenta a Kassel nel 1982, o Alle forche Caudine, 1981, e Stagno, 1982, presentati alla Biennale di Venezia del 1982 ne sono esempi.
Mainolfi utilizza i principali materiali scultorei, il tufo, il gesso, la cera, il legno, il bronzo, il rame e il ferro, che dal 1987 vengono impiegati per sviluppare le serie in cui elemento centrale diventa il suono o la sua evocazione (Batacchi, Sonagli, Nacchere, Tamburi). Interessato al rapporto tra dimensione superficiale e volumetrica nel linguaggio plastico, Mainolfi lavora le superfici assecondando la vocazione stessa della materia utilizzata, levigata o porosa, esaltando e trascendendo la qualità stessa della materia. In alcuni lavori degli anni Novanta l’artista sviluppa una sempre maggiore attenzione al livellamento della superficie delle sculture, che si fa più levigata, come nella serie dei Paesaggi. Tra le numerose retrospettive degli anni Novanta, nel 1996 Mainolfi, che espone a Napoli nel 1988 alla galleria Alfonso Artiaco, allestisce al Museo Civico di Castel Nuovo una immaginifica panchina-scala. Contemporaneamente i suoi lavori sono esposti anche a Villa Pignatelli in un’ampia retrospettiva, mentre, tra le altre opere realizzate a Napoli, ricordiamo Terra della pace (1990-1991), per la collezione del Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli.
[Olga Scotto di Vettimo]