Fausto Melotti

Fausto Melotti, “L’amore”, 1971 (dettaglio). Collezione Fondazione Fausto Melotti, Milano. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Il percorso artistico di Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano, 1986) si presenta come un continuo processo di interrogazione della forma e della materia. La sua vastissima produzione appare profondamente diversificata, con evidenti mutamenti linguistici e materici da un decennio all’altro, sintomo di una sperimentazione costante che si avvale di suggestioni diverse, prima tra tutte la musica. Armonia, equilibrio, rigore caratterizzano le sue sculture sin dagli anni Venti quando, dopo la laurea in Ingegneria Elettrotecnica al Politecnico di Milano, Melotti avvia la sua ricerca artistica. Vicino in un primo momento agli ambienti futuristi, a segnare la sua ricerca saranno l’incontro con l’architettura razionalista, rappresentata a Milano dal Gruppo 7, e con Lucio Fontana, al quale sarà legato da una lunga amicizia.

Dalla terracotta e dalla ceramica all’acciaio, dall’astrazione alla figurazione, tutto il suo lavoro si caratterizza per l’oscillazione “tra il registro materiale e l’impeto mentale, tra la memoria e la ricerca”, come scrive Germano Celant. La linea, più che il volume, diviene l’elemento centrale nelle sue creazioni, costruite su forme geometriche e sul rapporto tra pieno e vuoto, così da suggerire un’implicita grazia e leggerezza. “L’arte è stato d’animo angelico, geometrico. Essa si rivolge all’intelletto, non ai sensi. […] Non la modellazione ha importanza ma la modulazione. […] I fondamenti dell’armonia e del contrappunto plastici si trovano nella geometria”, afferma l’artista.

L’opera in collezione, L’amore, suggerisce sin dal titolo l’aspirazione della scultura a quelli che sono sentimenti propriamente umani: basata sulla purezza degli elementi che la compongono, in silenzioso dialogo tra loro, l’opera racchiude una sensualità allusiva, grazie alla quale le forme astratte acquistano un’inaspettata corporeità. Come in molti altri lavori di Melotti, la luce svolge un ruolo cruciale nell’animare e trasformare le superfici, facendosi punto di giunzione tra idea e materia, razionalità e immaginazione, visibile e invisibile, processo e portato finale.

Nel 1971, stesso anno di realizzazione dell’opera, Italo Calvino scrive dell’opera di Melotti nel libro Lo spazio inquieto, sottolineando delle sue sculture la “vibrante immobilità”, espressione che descrive perfettamente anche L’amore quale binomio tra aspirazione ideale e tensione vitale. La versatilità linguistica di Melotti e la sua poliedrica attività sono state al centro della mostra antologica che il museo Madre ha dedicato all’artista nel 2011.

[Alessandra Troncone]

L’amore, 1971

Attualmente non esposta.

Collezione Fondazione Fausto Melotti, Milano. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Veduta dell'allestimento, nell'ambito di "Per_formare una collezione #4"

Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.