Bianco-Valente

Bianco-Valente, “Il mare non bagna Napoli”, 2015. CourtesyFondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli. Foto © Amedeo Benestante. 

In coppia dal 1994, Giovanna Bianco (Latronico, 1962) e Pino Valente (Napoli, 1967) avviano insieme una ricerca artistica che si basa sull’analisi dei fenomeni legati alla visione e alla percezione. Affascinati dal concetto di dualità corpo-mente, in cui il corpo è inteso come struttura “finita” nello spazio e nel tempo mentre la mente – con il suo portato di informazioni, emozioni, ricordi – si presenta invece immateriale e sfuggente, Bianco-Valente si avvalgono di stimoli provenienti da ogni campo (dalle scienze dure all’astrologia e alla letteratura) per realizzare video e installazioni che indagano i processi di funzionamento cerebrale.

A partire dai primi anni Duemila, l’attenzione di Bianco-Valente si focalizza sulla parola come unità di trasmissione di informazioni: ponendo l’accento sui meccanismi di formazione e strutturazione di frasi di senso compiuto, gli artisti riflettono sulla possibilità di affidare alla forma linguistica e ai suoi supporti il carico incorporeo di memorie, esperienze, suggestioni. Ne è un esempio il video Sulla pelle (2010), in cui parole tratte da diari di viaggio, lettere, saggi e romanzi, che intellettuali e scrittori di epoche diverse hanno scritto sulla città di Napoli, si stratificano visivamente. L’indagine sulla parola e sul linguaggio si sviluppa parallelamente a quella sui sistemi relazionali, resi visibili grazie alla costruzione di ramificazioni ricalcate sul modello di quelle naturali, dando vita ad installazioni realizzate con cavi elettroluminescenti, utilizzati per “imbrigliare” edifici e luoghi pubblici (tra questi, il cortile del museo Madre nel 2009 e la stazione di Napoli Mergellina nel 2013).

La nuova commissione per la collezione del Madre, realizzata nell’ambito del progetto Per_formare una collezione, è stata pensata per essere collocata sul terrazzo, che domina a 360 gradi il quartiere circostante di San Lorenzo, fino al Vesuvio e al mare, appena intravedibile in lontananza. Il mare non bagna Napoli cita fin dal suo titolo quello del libro pubblicato da Anna Maria Ortese nel 1953, una raccolta di racconti che restituisce le difficoltà, il dramma e la sofferenza della Napoli del dopoguerra con sguardo critico, talvolta impietoso. L’affermazione, all’apparenza assurda, nasconde una riflessione amara: laddove il mare è sinonimo di apertura e di possibilità, allora Napoli non può essere bagnata dalle stesse acque che offrono una via di fuga e di riscatto. Bianco-Valente riprende questo assunto doloroso, mostrandone l’aspetto più paradossale: dal terrazzo è infatti visibile, anche se in lontananza, lo stesso mare che la frase rinnega, attivando un cortocircuito tra significato e significante. Le parole che compongono la scritta sono realizzate in ferro: la discontinuità della superficie, lasciata allo stato grezzo ma coperta da un generoso strato di pittura che sarà ripreso ogni anno dagli artisti, rafforza la ruvidezza delle parole e rimanda ad uno stato di tensione mai risolto, difficile da “appianare” ma, per questo, drammaticamente autentico.

[Alessandra Troncone]

Il mare non bagna Napoli, 2015

In esposizione

Courtesy gli artisti. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli.

Il mare non bagna Napoli, 2015

In esposizione

Courtesy gli artisti. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli.