Karikpo Pipeline 2015/2021
installazione video a 5 canali, 27’31’’
Courtesy dell’artista e Niger Delta Flow Gallery
Nella sua pratica interdisciplinare Zina Saro-Wiwa indaga le dimensioni culturali, politiche, ecologiche, spirituali ed economiche della vita nel Delta del Niger. L’artista analizza le relazioni con la terra e il territorio attraverso forme di dislocamento poetico e l’uso della performance. Karikpo Pipeline, girato nell’Ogoniland, accosta sequenze che mostrano l’infrastruttura dell’estrazione del petrolio a confronto con evocazioni di energie invisibili e spirituali. Il titolo del lavoro si riferisce al Karikpo, una giocosa e popolare mascherata Ogoni che viene eseguita ogni anno con maschere di antilope intagliate. Gli oleodotti che attraversano la regione formano uno sfondo drammatico per i danzatori che imitano i movimenti dell’animale. La presentazione del lavoro, che si estende su cinque schermi, parla dell’oleodotto attraverso il quale vengono incanalate forze multiple, sia spirituali che industriali. Le lunghe strade evocative e i sentieri che appaiono frequentemente nell’opera richiamano l’idea di “strade possedute” dell’Ogoniland, sentieri che i giovani locali temevano di percorrere agli inizi dell’estrazione del petrolio. Mentre la ‘possessione’ di cui i giovani Ogoni furono avvertiti era di natura ‘spirituale’, le vere ragioni dietro a tali avvertenze si riferivano alle compagnie petrolifere che possedevano ‘legalmente’ la terra, vietandone l’accesso alla gente locale. Per Saro-Wiwa questo particolare, scivoloso, poetico omonimo ‘possesso’ ha aperto un portale per un’opera che mette in discussione la paternità e la gestione di paesaggi contestati come l’Ogoniland. Per Rethinking Nature, Saro-Wiwa ha creato una nuova iterazione dell’opera con una colonna sonora appositamente composta che incorpora i suoni dei campanelli che i danzatori Karikpo portano alle caviglie, oltre a elementi ambientali che alludono alle nozioni di evocazioni, sorveglianza e forze terrestri che si oppongono alle autorità.
Dichiarazione dell’artista
Ogoniland è molto più che Big Oil e la sua depredazione. Ci sono tante altri dibattiti più profondi in corso, che non hanno assolutamente nulla a che fare con il petrolio. È un luogo molto speciale e unico nel suo genere e non a causa della tragica immagine che gli è stata attribuita dopo l’uccisione criminale di uno dei suoi figli, mio padre, Ken Saro-Wiwa e altri otto uomini innocenti. Questo lavoro fa luce su quelle narrazioni sepolte usando maschere come simbolo dei misteri sottocutanei che esistono ed emergono periodicamente per coloro che sono disposti ad impegnarsi. La mascherata è una potente tecnologia spirituale che si nasconde all’interno di un elemento culturalmente affettivo che appare semplicemente giocoso. E per questo motivo giustappongo questa performance ai resti dell’estrazione del petrolio come le teste dei pozzi, le stazioni di flusso e gli oleodotti esposti. Per me, le preoccupazioni dei grandi gruppi ambientalisti non parlano necessariamente agli altri e per gli altri nei paesi in via di sviluppo. Il petrolio e gli atti criminali di compagnie come la Shell Oil sono certamente parte del nostro puzzle ambientale nel Delta del Niger, ma c’è molto di più da considerare. A mio parere, per accedere alle lezioni della terra e per combattere dobbiamo essere fermi. Dobbiamo ascoltare e dobbiamo essere un canale per la terra. Noi come esseri umani sopravvalutiamo la nostra importanza. Quindi per me, un ambientalismo del Delta del Niger deve implicare ecosistemi invisibili. È tempo di decolonizzare l’ambientalismo, non solo dalle potenze coloniali ma dall’umanità in generale, e in questo modo sono convinta che gli esseri umani possano forgiare un approccio molto più profondo, sorprendente e di successo alle sfide ambientali.