Gianluigi Colin dà vita a una sfida che consiste non nel risalire all’antico, né nell’avviare un percorso anacronistico. Rintraccia sopravvivenze lontane. Insegue tracce classiche riposte dentro l’ordito del presente: prova a vedere cosa sono diventate le divinità greche nella nostra epoca disincantata. Utilizza il mito come strumento non per uscire da “questo” mondo, ma per abitarlo in modo diverso, imboccando sentieri laterali. Guardando i “nostri” Mercurio, Marte, Saturno e Venere, non suggerisce fughe dal presente. Impegnato a intrattenere un dialogo con la contemporaneità, si pone in ascolto degli “oracoli parlanti”, elaborando affreschi inesatti, imperfetti, sgrammaticati, fondati sul ricorso a una tecnica complessa. Dapprima, sfoglia i quotidiani; poi, preleva pagine su cui appaiono immagini “rivelatrici”; accartoccia quei fogli, con un gesto di intolleranza morale; fotografa questi “stropicciamenti”; stampa il file su carta di giornale, che viene appiccicata su un letto fatto a sua volta di sedimentazioni di carte di giornali; infine, con impeto, interviene con le mani su questo materiale, con ulteriori piegature.
Nascono, così, le Mitografie di Gianluigi Colin (realizzate dal 2009 al 2011), simili a tessuti increspati, a relitti di un naufragio o a reliquie di memorie sfrangiate, oramai lontanissime.