Stealing Earth: the national park expands 2018
inchiostro, carta cotone
Courtesy dell’artista e Prometeo Gallery Ida Pisani, Milano e Lucca
Stealing Earth 2018
video digitale, 12’27’’
Courtesy dell’artista e Prometeo Gallery Ida Pisani, Milano e Lucca
Take me to the water 2018
inchiostro, carta cotone
Courtesy dell’artista e Prometeo Gallery Ida Pisani, Milano e Lucca
Lavorando tra disegno, scultura, fotografia, film e video, Karan Shrestha esplora le relazioni con la terra e la storia delle comunità indigene in Nepal. Il suo progetto Stealing Earth affronta la nozione di conservazione della natura in relazione ai gruppi indigeni che sono stati rimossi dalle loro terre per far posto ai parchi nazionali. Il Parco Nazionale di Chitwan, la prima area protetta del Nepal, è stato istituito nel 1973 dopo essere stato per oltre un secolo una popolare destinazione di caccia e commercio tra i reali del Nepal e i coloni britannici. Da allora, è diventato l’emblema della protezione della biodiversità e dello sviluppo del turismo nel paese. Il parco nazionale si è espanso costantemente nel corso degli anni. Un intero battaglione dell’esercito nepalese è stato mobilitato per pattugliarlo, con circa 800 truppe armate divise in quattro sezioni. Stealing Earth affronta il modo in cui la retorica della conservazione è usata per delimitare terra, foreste e acqua ad uso di ricchi e potenti, spingendo la popolazione indigena sempre più ai margini. Gli attivisti Chhabilal Neupane e Chitra Bahadur Majhi affermano nel loro libro Samrakshit Chhetra ka Dwanda – Conflicts in Protected Areas: “la classe alta vede la foresta come una fonte di profitto per l’industria del turismo, un luogo di svago e di fuga per gli stranieri e i nepalesi ricchi, un sito di ricerca per gli ambientalisti e gli accademici. Ma per le comunità locali e indigene quali i Bote, Majhi, Musahar e Kumal, la foresta è casa. Le loro vite sono intrecciate all’ecosistema della foresta”.
Estratto da Karan Shrestha, ‘A telling’ (2018)
“Le vie della natura non sono misteriose; è un dare abbondante, completo. La nostra casa, la giungla, si dispiega tra i verdi e i marroni. Nessun confine separa. Di tanto in tanto, una tigre solitaria ci caccia, il rinoceronte al pascolo ci spinge verso la terra, gli elefanti selvaggi che migrano calpestano i nostri rifugi, persino il tenace bambù e il legno tagliato soccombono al fiume impetuoso che cambia corso. Bhagya-ko-niti quando le acque si ritirano, i nostri piedi stanno di nuovo saldi sulla terra bagnata. Nessun coccodrillo può divorarci. Nessun morso di insetto ci può pungere. Ciò che è stato preso viene restituito. Non ce ne andiamo… Nell’attesa, il silenzio tradisce la nostra rabbia. Le hasiya (falci nepalesi) si arrugginiscono, le reti si aggrovigliano, l’odore degli spinaci amari svanisce e il sapore del pesce d’acqua dolce sfugge, la nostra conoscenza della giungla si affievolisce lentamente. I nostri figli partono per terre più rumorose mentre l’uomo nuovo e la sua forza approfittano, conservando, quando è necessario proteggere, quando il rispetto dovrebbe trattenersi dal nikunj-prashashan, rubare la terra per la bellezza. La bellezza, guidata da idee di purezza, ci rovina e danneggia tutto ciò che è vero. Dentro di noi, i cespugli selvatici crescono ancora bramando radici più profonde, non c’è conciliazione.”