Combinando impalcature, erba artificiale e una piscina di plastica, El Salto (2016) ricrea il paesaggio vicino alla casa, rivolta verso una cascata, in cui Durham e Maria Thereza Alves hanno vissuto dal 1987 al 1994 nel quartiere El Salto de San Anton di Cuernavaca in Messico. La prospettiva dall’alto dell’impalcatura apre una visione più ampia delle cose, come quella dalla cima della cascata alta quaranta metri che domina la fitta vegetazione e le rocce di basalto vicino la casa dell’artista: “Quando sei al di sopra delle cose normali in una città, provi una strana sensazione. Non è come guardare fuori dalla finestra di un edificio; è un po’ più di libertà. Per me è una libertà sicura”. Il gruppo di opere Red deer (2017), Brown bear (2017), Musk ox (2017) sono stati assemblati con teschi di animali e materiali di risulta per rappresentare gli animali più grandi d’Europa: “Quando lavoro con i teschi, vedo molto chiaramente come siamo davvero tutti della stessa famiglia, vedo che i loro teschi sono come i nostri teschi, i loro corpi sono come i nostri corpi”, dice Durham. Questa continuità tra umani e non umani è considerata anche nella serie di disegni a grafite completati durante un periodo trascorso come borsista al DAAD, un rinomato programma per artisti affermati che lavorano nel campo delle arti visive, della letteratura, del cinema e della musica. Rappresentano una sorta di diario visivo, che combina incontri quotidiani con persone e animali con ritratti di personaggi dell’attualità.
The pursuit of happiness (2002) si ispira a una frase della Dichiarazione d’Indipendenza americana che recita: “Riteniamo che queste verità siano evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi vi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”. La trama del film è composta da quattro atti che raccontano la storia di un giovane indigeno del Nord America (interpretato nel film dall’artista franco-albanese Anri Sala) che decide di lasciare gli Stati Uniti per trovare successo altrove. Durham stesso ha dichiarato: “Non sono mai stato un artista che fa arte come un modo per rappresentare una certa indianità in vendita… A New York e certamente in Europa, le persone sono rimaste sorprese dal fatto che io sia un artista serio, che la mia arte non si fermi ai confini delle lotte identitarie”. Nella stessa sezione della mostra, l’installazione Sweet, Light, Crude (2009), costituita da una serie di fusti di petrolio colorati sui quali Durham ha riportato alcuni termini del marketing petrolifero, solleva lo spettro dell’infiltrazione del governo statunitense nelle comunità indigene che vivono in terre non rivendicate per ottenere accordi sull’estrazione delle risorse.
Jimmie Durham: humanity is not a completed project, veduta della mostra al Madre, 2023. Foto di Amedeo Benestante