L’esposizione delle opere nella prima sala fa riferimento alle strategie spaziali sperimentali di Durham in mostre nella prima parte del suo percorso, come ‘A certain lack of coherence’ (Palais des Beaux Arts, Bruxelles, 1993) e ‘Original Re-Runs’ (Institute of Contemporary Art, Londra, 1994), in cui l’artista ha creato allestimenti densi che raccoglievano costellazioni di opere singole. La sensazione di sovrabbondanza che ne deriva ha creato nuove letture e messo in crisi interpretazioni univoche. Ogni singola opera genera molteplici significati: la scultura Armadillo (1991) mostra la fotografia di un uomo in giacca e cravatta, Durham stesso, che minaccia un altro uomo con quella che sembra essere una pistola ma che in realtà è la testa di un armadillo, un gioco di parole visivo-linguistico. In A dead deer (1986), la colonna vertebrale dell’animale è sostituita da un alberello, formando una vivace creatura ibrida che danza su un filo. Racoon (skunk) (1989) mostra uno specchio rotto che restituisce lo sguardo dello spettatore, quello che l’artista definisce un “trucco da quattro soldi”.
Durham esplora in modo giocoso l’estetica dell’“arte popolare”, messa in secondo piano nel discorso dell’arte moderna in Europa e in Nord America. Queste opere sono state prodotte all’incirca nel periodo in cui l’“Indian Arts and Crafts Act” è stato approvato per legge nel 1990 e ha iniziato a essere applicato negli Stati Uniti, obbligando gli artisti delle Prime Nazioni a dimostrare di essere iscritti a una tribù riconosciuta a livello federale per poter esporre e vendere opere che includessero elementi relativi all’eredità indigena. Sebbene l’obiettivo dichiarato della legge fosse quello di prevenire la falsificazione di prodotti artistici e artigianali, in realtà essa ha messo in atto un processo di “autenticazione” e registrazione dell’identità nell’ambito dello stesso sistema legale che ha espropriato e privatizzato le terre detenute collettivamente da molte Prime Nazioni del Nord America. Durham si opponeva alla gestione degli affari indigeni da parte del governo degli Stati Uniti; non fu iscritto e questo portò alla cancellazione di diverse mostre negli Stati Uniti.
Nella performance Crazy for life, tenutasi al Bessie Schonberg Theatre di New York nell’ambito del programma di performance della mostra “The Decade Show: Frameworks of Identity in the 1980s”, Durham indossa una giacca sulla quale ha dipinto una gabbia toracica aperta che espone gli organi vitali. Un cuore di carta pesta pende dalla sua manica, un riferimento letterale all’espressione anglosassone “indossare il cuore sulla manica”, ovvero “parlare con il cuore in mano”. Un ritratto di George Washington occupa la sedia accanto alla sua. Durham ringrazia il primo presidente degli Stati Uniti per “essere sempre stato presente per lui” prima di procedere con la lettura dei suoi scritti, citando anche un libro di memorie satiriche di Crazy Horse, il famoso leader degli indiani Sioux, che fu fatalmente baionettato da una guardia statunitense dopo aver opposto resistenza. Il discorso di Durham è punteggiato da citazioni errate e comiche, giochi di parole e canzoni cantate in varie lingue.
Jimmie Durham: humanity is not a completed project, veduta della mostra al Madre, 2023. Foto di Amedeo Benestante