Jimmie Durham: humanity is not a completed project | Sala 11

Questa sala presenta la documentazione di una selezione di performances, tra le quali: Savage (1991), Virginia / Veracruz (1992), The East London Coelacanth (1993), Building a Nation (2006), insieme ad selezione di inviti a mostre, manifesti, edizioni limitate e altri materiali. Savage di Durham e Maria Thereza Alves si è svolta al Museo di Arte Contemporanea di Ghent qualche anno prima del loro definitivo trasferimento in Europa nel 1994. Presentava una cosmologia alternativa, tratta dalla cultura Cherokee. Una scrittura poetica simile a una favola introduceva la figura del coyote come creatore della vita e della morte. Secondo la storia citata da Durham, il coyote ha assemblato gli esseri umani con pezzi rubati a diversi animali mentre dormivano, il che spiega vari comportamenti caratteristici degli animali che fanno parte della natura umana. Il testo di accompagnamento afferma che gli esseri umani sono molto vicini al coyote nell’amore per il canto e per il furto. Virginia / Veracruz fu presentata per la prima volta a Madrid in occasione delle celebrazioni spagnole del 500° anniversario del viaggio di Cristoforo Colombo che invase le Americhe nel 1492. Veracruz fu il primo insediamento spagnolo in America centrale, fondato nel 1519 da Hernán Cortés, che lo trasformò nella più importante fonte di reddito d’oltremare per la Corona spagnola grazie all’estrazione di ricchezza e manodopera dagli indigeni. In Nord America, la Virginia fu la prima colonia inglese e diede inizio alla storia di violenza, appropriazione e schiavitù contro le popolazioni indigene. Durham, Maria Thereza Alves e Alan Michaelson hanno passeggiato per le strade di Madrid e poi di Londra indossando una museruola che copriva la bocca. Cartoline con immagini di spagnoli e inglesi adornavano le loro “maschere di privazione della parola”, posizionando simbolicamente gli artisti tra coloro che sono stati messi a tacere e oppressi dai colonizzatori.

 

Il film The East London Coelacanth (1993) presenta Durham insieme al pittore Carlos Ortega, al ceramista Julian Villasenor ed altri che si esibiscono nella cornice dell’area archeologica di Xochicalco, a Morelos, in Messico. Durham ha assunto il ruolo di uno pseudoarcheologo in una sorta di ricerca donchisciottesca per trovare un celacanto sopravvissuto, che si pensa sia estinto. Dopo aver discusso di come il suo nome scientifico costituisca una forma di appropriazione geografica e politica, Durham riflette su temi legati alla fluidità dell’identità e alla relatività dei concetti di autenticità e finzione, esotismo e familiarità. “Se riucissi a catturare un celacanto di East London a East London, in Inghilterra, potrei in qualche modo contribuire a risolvere alcuni dei problemi residui dell’imperialismo inglese”, scriver Durham in My Book, the East London Coelacanth, Sometimes Called, Troubled Waters; The Story of British Sea-Power. Con Building a Nation (2006), Durham ha trasformato in maniera performativa la Matt’s Gallery di Londra in uno spazio discorsivo e attivistico per la durata di due settimane. Su costruzioni in legno, pietra, metallo, vetro, feltro e tubi in PVC, l’artista ha attaccato citazioni di sprezzanti dichiarazioni razziste, volte a giustificare il genocidio degli indigeni nordamericani, molte delle quali pronunciate da famosi personaggi storici, tra cui George Washington, Benjamin Franklin e Theodore Roosevelt. Esempi di citazioni sono: “Gli unici indiani buoni che abbia mai visto sono morti” del generale dell’esercito statunitense Philip Henry Sheridan (1831-1888) e “Maledetto ogni uomo che simpatizza con gli indiani. Uccidete e prendete lo scalpo a tutti, grandi e piccoli. I lendini fanno i pidocchi” del pastore metodista americano e colonnello dell’esercito statunitense John Milton Chivington (1821-1894).

Jimmie Durham: humanity is not a completed project, veduta della mostra al Madre, 2023. Foto di Amedeo Benestante