Geniale sperimentatore e fine provocatore, in pochi anni di attività Piero Manzoni (Soncino, 1933-Milano, 1963) ha gettato le basi per lo sviluppo di diverse tendenze artistiche, italiane e internazionali, del secondo dopoguerra. Facendo propria l’esperienza dadaista e muovendosi a partire da alcune intuizioni di Marcel Duchamp, Manzoni propone attraverso il suo corpus di opere un’attenta riflessione sul ruolo dell’artista e sul significato dell’opera d’arte contemporanea, che si definisce in relazione al suo contesto.
Le sue operazioni più celebri, dall’inscatolamento della Merda d’artista alle performance in cui l’artista chiama a rapporto il pubblico, insistono sui concetti di autorialità e autenticità, alimentando – e al tempo stesso sfatando – il mito stesso dell’artista: i suoi escrementi sono venduti a peso d’oro, i palloncini da lui gonfiati divengono opera perché contengono Fiato d’artista, le donne da lui firmate si trasformano in Sculture viventi, le uova sulle quali ha impresso l’impronta digitale del suo pollice sono arte da consumare, da esperire, da vivere. Chiunque può diventare opera d’arte salendo sulla sua Base magica, che eleva il banale ad artistico solo attraverso la forza simbolica del gesto dell’artista.
Parallelamente alla sua ricerca sulle nuove possibilità di creazione e fruizione del prodotto artistico, Manzoni lavora per ridefinire il linguaggio della pittura: dopo la stagione artistica dell’Informale, che aveva accentuato la forza espressiva della soggettività dell’artista, Manzoni propone l’asetticità del monocromo come campo aperto a tutte le possibilità, in parallelo ad altre situazioni europee, prima tra tutte la ricerca che Yves Klein conduce in Francia.
Nei suoi Achrome, letteralmente “privi di colore”, come nel caso dell’opera in collezione, non è più l’artista ad esprimere se stesso ma la materia, lasciata libera di coagularsi in forme solo suggerite dall’intervento iniziale. Utilizzando il caolino, materiale che si rapprende autonomamente, Manzoni ottiene tele grinzate. Sulla stessa superficie della tela, l’artista include poi oggetti tratti dal quotidiano (batuffoli di cotone, rosette di pane, uova, polistirolo) con lo stesso intento: dimostrare che il quadro può essere una superficie autonoma, autoreferenziale, tautologica, che non rimanda ad altro se non a se stessa, sigillata nella propria essenza.
Non c’è più spazio per la componente emotiva dell’artista, che diviene l’attivatore di una situazione di per se stessa significante. Il processo analitico di verifica che sottende a tutta l’opera di Manzoni anticipa l’atteggiamento concettuale e tutti quei fenomeni di “smaterializzazione” dell’oggetto artistico che saranno determinanti nei successivi sviluppi dell’arte contemporanea.
[Alessandra Troncone]