Henri Chopin

Henri Chopin, Dactylopoem / Dattilopoema, 01/01/2005, 03/01/2005, 05/01/2005. Collezione Fondazione Morra, Napoli. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante. In esposizione fino a dicembre 2016. | Henri Chopin, Dactylopoem, 01/01/2005, 03/01/2005, 05/01/2005. Fondazione Morra collection, Naples. On loan to Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Naples. Photo © Amedeo Benestante. On view until December 2016.

Artista visivo, poeta sonoro e visuale, editore, performer, regista e promotore di iniziative artistiche indipendenti, Henri Chopin (Parigi, 1922 – Norfolk, 2008) è stato un imprescindibile riferimento per diverse generazioni di artisti.

Affermando, nel 1990, che “con le ricerche elettroniche la voce è diventata finalmente concreta” e che essa è “portatrice di un corpo che non cessa mai di essere attivo”, Chopin esalta la valenza fisica del suono attraverso l’uso performativo del corpo e delle tecnologie di registrazione e trasmissione. Alla metà degli anni Cinquanta risalgono il suo interesse per la poesia e le prime registrazioni su un magnetofono portatile, dove già è evidente l’attenzione al suono e non ai testi, avviando una sperimentazione che sostituisce alla lingua il linguaggio e alla parola la voce, per raggiungere un caleidoscopio infinito di sonorità vocali.

L’incontro con la ricerca di Isidore Isou, attraverso la visione nel 1952 del film Traité de bave et d’éternité, determina alla fine degli anni Cinquanta l’avvicinamento di Chopin agli ultralettristi, gruppo formato da una costola del movimento di Isou, “ispirato alla poetica del grido di Artaud e animato da Dufrêne, per i quali la voce rappresenta l’energia interna necessaria ad alimentare la rete delle relazioni con il mondo”, come scrive Giovanni Fontana nel 2008. Tale sperimentazione procede, dunque, mediante il recupero della materia fonica prelinguistica, la composizione diretta al magnetofono e la rinuncia alla scrittura.

Condizionato dalle sue personali esperienze biografiche, legate soprattutto alla deportazione in Germania e alla successiva fuga in Russia durante il secondo conflitto mondiale, Chopin sviluppa, però, una poetica che guarda tanto alla poesia visuale e sonora quanto a riflessioni più politiche, nella difesa della liberà e della democrazia. Autore di diverse pubblicazioni – tra cui Le dernier roman du monde (1961), Le homard cosmographique (1965), La crevette amoureuse (1967), La Conference de Yalta (1984) e Enluminure (1984) – nel 1959 fonda la rivista “Cinquième Saison”, che nel 1964 diventa “OU” e che consentirà un maggiore impulso alla diffusione e al sostegno delle opere inedite degli artisti che orbitano nell’orizzonte di riferimento della poesia visiva, concreta ed elettronica, soprattutto attraverso la pubblicazione di dischi in vinile, testi e immagini, di Dufrêne, Bernard Heidsieck, Sten Hanson, Bob Cobbing, Brion Gysin, William Burroughs e Ladislav Novak.

Con gli “audiopoemi” Chopin sperimenta le possibilità della poesia sonora attraverso le manipolazioni e le mescolanze che la tecnologia consente, trattando, sul nastro, la materia fonica che in Chopin è respiro, eco, riverbero, voce e variazione di velocità. La modalità esecutiva di questi lavori prevede una prima registrazione sul magnetofono, in cui viene utilizzato esclusivamente il respiro, il successivo ascolto della traccia (dalle 10 alle 20 volte) e, infine, una seconda incisione vocale. L’altra declinazione di questa ricerca sono i “dattilopoemi”, sorta di partitura dattiloscritta, un interfaccia poetico, in cui il dato visivo si mescola a tessiture fonetiche.

Di fronte agli audiopoemi e ai dattilopoemi il fruitore è incalzato dalla fisicità del suono, che si rende corporeo così come la parte testuale-visiva. Si tratta, dunque, di una duplice sollecitazione, sensoriale e visiva, a cui è sottoposto lo spettatore, e anche i lavori ‘non sonori’ non vanno quindi considerati come elemento altro, o come elemento residuale, documentativo, bensì come una sorta di incisione su un supporto diverso dal nastro – la carta -, che consente di legare e mescolare i suoni al testo e alle immagini.
Queste tavole visive sono dei filtri attraverso cui ricavare visioni più accettabili del mondo e della vita; una visione anarchica della realtà e della storia estremamente personale che sostiene un attaccamento alla democrazia, unito ad una avversione profonda per le dittature in nome della libertà.

Così scrive l’artista in Les filtres de l’alphabet et de l’€ : “…contro tutte le sentenze che diventano clichés, contro il decalogo che diventa stranezza, da un lato avevo il corpo, dall’altro il verbo, che non aveva più lo scopo di formare una grande opera e men che meno un poema esemplare, la sola uscita era dare al verbo per una parte tutte le sue attrattive sensoriali, e per l’altra far intendere l’unica ‘meraviglia del mondo’, cioè la vita, unicamente e in tutti i sensi.”

OSdV

Dactylopoem, 01/01/2005, 03/01/2005, 05/01/2005

Attualmente non esposta.