Sin dai primi anni novanta Eulalia Valldosera (Vilafranca del Penedès, 1963) ha esplorato nelle sue installazioni multi-mediali le relazioni tra identità, corpo e potere, con particolare riferimento alle rappresentazioni sociali che dipendono da queste relazioni.
Le opere dell’artista indagano le radici storiche, sociali, culturali e antropologiche che, nei secoli, hanno condizionato tanto la definizione dei ruoli sociali quanto la loro percezione collettiva.
Il concetto stesso di “identità sociale” viene analizzato criticamente dall’artista attraverso la decostruzione di stereotipi e simbologie che passano attraverso i gesti e gli oggetti che caratterizzano quotidianità del lavoro, esistenza materiale e ambito della cultura. È il caso, ad esempio, delle opere in cui compaiono strumenti e gesti legati all’ambito domestico, come nell’opera in collezione al Madre, che proprio a Napoli è stata realizzata nel 2009. Nel video, dal titolo Dependencia Mutua, una donna di origine ucraina è intenta a spolverare una statua di marmo dell’imperatore romano Claudio presente nelle collezioni del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Se la presenza della donna ucraina pone l’accento sulle mansioni lavorative che sono solitamente attribuite alle popolazioni immigrate, come una delle poche possibilità occupazionali alle quali esse hanno più frequentemente accesso, dall’altro lato l’immagine dell’imperatore rappresenta un momento storico in cui il potere politico è stato elevato a concetto di divinità, un meccanismo di rappresentazione che nel linguaggio della scultura classica trova spesso applicazione.
Il primo livello d’interpretazione – che suggerisce una lettura simbolica legata all’idea di dominio – è arricchito e ribaltato, però, dal titolo dell’opera, che ci spinge a riflettere sulla dinamica di dipendenza che si instaura tra la statua e la donna che se ne prende cura. Il gesto di spolverare la statua si carica quindi di una connotazione più ampia, si fa carico di una relazione di reciprocità e interdipendenza: è un gesto di attenzione che può essere assimilato al “prendersi cura di” e che, di conseguenza, mantiene in vita l’oggetto o la persona di cui ci si prende cura. È l’artista stessa a spiegare la complessità delle molteplici relazioni e implicazioni culturali che quest’opera solleva: “Chiedo alla collaboratrice domestica della mia gallerista napoletana di agire in mia vece, trasformandosi nell’alter ego dell’artista. Paradossalmente, la donna emancipata ha bisogno dei servizi della collaboratrice per poter esercitare la sua professione; in questo modo, il ruolo dell’artista si svolge contemporaneamente in due luoghi: è la donna delle pulizie e al tempo stesso la sua padrona”.
Inoltre, l’opera può essere letta anche come la rappresentazione simbolica del rapporto problematico e sussidiario tra arte contemporanea e arte del passato e, nella sua attuale collocazione presso il Madre, tematizza la possibilità di una reciprocità analoga a quella evocata nell’opera, di un attraversamento dinamico tra le differenti dimensioni temporali che le due istituzioni – il museo d’arte contemporanea e il museo archeologico – possono rappresentare ed esercitare.
La centralità del corpo che troviamo in quest’opera – sia il corpo vivo in quanto “esistenza”, sia quello della statua inteso come “rappresentazione” di quella stessa esistenza – è un aspetto fondante di tutto il lavoro di Valldosera. In alcuni casi, ad esempio, l’utilizzo della proiezione luminosa per la creazione di installazioni immersive fatte di oggetti, luci e ombre, inoltre, fa riferimento alla dimensione dell’inconscio come uno spazio di rappresentazione scenica, all’interno del quale le rappresentazioni culturali e il vissuto individuale interagiscono fra loro, ridefinendosi reciprocamente.
In questo senso la presenza di oggetti carichi di una memoria antropologica e ancestrale può combinarsi all’utilizzo di tecnologie contemporanee legate all’immagine in movimento e alla trasmissione dei dati, per raccontare la sopravvivenza nel tempo di determinati stereotipi identitari e la frizione costante, nel definire la nostra stessa idea di contemporaneità, tra tradizione e modernità, cultura ed esistenza materiale, realtà e rappresentazione. Per Valldosera le immagini, le opere d’arte, l’architettura, lo spazio domestico e lo spazio delle istituzioni sono lo spazio-tempo in cui il discorso dell’autorità afferma se stesso e si sedimenta nella coscienza collettiva e nei corpi individuali ma, anche, quello che ospita la sua critica e il suo possibile superamento.
AR