Jimmie Durham, “Wood, Stone and Friends”, veduta dell’installazione, Sala Dorica, Palazzo Reale di Napoli, 2012. Foto © Danilo Donzelli | Jimmie Durham, Wood, Stone and Friends, installation view at Sala Dorica, Palazzo Reale, Napoli, 2012. Photo © Danilo Donzelli

Jimmie Durham. Wood, Stone and Friends

A partire da sabato 15 dicembre, la Sala Dorica del Palazzo Reale di Napoli ospita la mostra Wood, Stone and Friends di Jimmie Durham, artista, saggista, poeta ed attivista politico.

La mostra è parte del progetto espositivo denominato Progetto XXI, con il quale la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee si propone di curare, in collaborazione con la Fondazione Morra Greco, l’esplorazione della produzione artistica più recente e intende contribuire a ricercare e mostrare l’arte sperimentale più avanzata e sostenere le nuove idee, i discorsi e le tendenze dell’arte contemporanea.

Alla base della pratica artistica di Jimmie Durham c’è il tentativo di decostruire i concetti cardine della cultura europea lasciando all’essenza stessa dell’oggetto la capacità di raccontare la sua storia. I principi di monumentalità celebrativa, permanenza e universalità di architettura e scultura, considerata per secoli un mezzo per affermare l’identità di un popolo e della sua cultura, vengono rifiutati per liberare l’oggetto dalla volontà dell’uomo di controllarne la natura: la pietra lavica che compone l’emiciclo dorico di Piazza del Plebiscito ha la capacità di autodescriversi e raccontarsi a prescindere dalla caratterizzazione imposta dagli stili e le correnti artistiche che susseguendosi ne hanno configurato la forma.

La Sala Dorica di Palazzo Reale diviene uno spazio contemplativo in cui differenti sculture assemblate con il legno di quattro tipologie di alberi differenti, insieme a massi di pietra lavica e frammenti di metallo industriale, tendono a ricreare un ambiente surreale, a metà fra la foresta e la fabbrica. Le sculture sono ricavate dal legno smembrato e riassemblato di due olivi millenari provenienti dalla puglia, di un noce molisano, di un castagno e di vari alberi tropicali, mentre i massi di pietra lavica conservano la loro forma originale. Il suggestivo spazio della sala, già scandita dalle sue colonne-albero, si trasforma in un luogo in cui lo spettatore è invitato ad immergersi per riflettere non sul significato simbolico che gli oggetti possono assumere dopo la lavorazione dell’artista, ma sulla loro organicità. La ricchezza del legno con i suoi odori, i nodi, le stratificazioni del tempo, la varietà tattile della sua consistenza, riesce a comunicare l’essenza del proprio essere e trasferire nello spazio in cui è collocato parte della storia dei luoghi da cui proviene e degli accadimenti a cui ha assistito nello scorrere degli anni.

Lo spettatore può così esperire la realtà dell’ambiente creato grazie al rapporto primordiale ed empatico che si sviluppa dal contatto con il materiale. Durham si ispira, qui, al lavoro di Constantine Brancusi ed al suo tentativo di catturare e riprodurre l’essenza delle cose attraverso un processo scultoreo che tende ad evidenziarne la realtà effettiva: l’idea alla base dell’oggetto piuttosto che la sua forma apparente. La pietra lavica infatti non viene lavorata perché la forza della sua presenza fisica non necessita di una codificazione.

Antony Huberman, in un saggio sull’artista ha scritto: “Dimenticate che la storia è una collezione di storie che danzano insieme?” La Sala Dorica di Palazzo Reale di storia e di storie ne contiene tante, come i due ulivi bicentenari ed il magma solidificato che vengono lasciati liberi di parlare silenziosamente allo spettatore, facendo leva sulla sua capacità immaginativa. L’atto dell’artista consiste semplicemente nel ricreare l’ambiente naturale da cui gli oggetti messi in gioco provengono, creando una foresta da ciò che già in sé ne è parte.

In una città le cui pietre su cui ogni giorno camminano milioni di persone parlano lingue differenti e sono ricche di apporti e visioni che vengono tacitamente rappresentate attraverso la loro presenza, dove gli archi e le volte sono state strutturate dal susseguirsi degli stili architettonici ma hanno assunto naturalmente forme e colori sempre differenti, la visione di Jimmie Durham può essere applicata ad una consuetudinaria passeggiata nei vicoli del centro storico, dove basta rimanere in silenzio ad osservare murales e panni stesi, per rendersi conto di quanto il controllo dell’uomo e di qualsiasi forma di cultura, sia impotente rispetto alla naturale evoluzione delle cose.

 

(Testo di Anna Cuomo)