Jimmie Durham: humanity is not a completed project | Sala 15, 16, 17

Durham si è autodefinito un “materialista”. La materia costituiva un fattore generativo nel suo fare arte; la raccolta e l’osservazione di elementi materiali erano lo stimolo per diverse linee di riflessione. Una delle premesse della poetica di Durham era la trasformazione della materia in una liberazione catartica dalle associazioni culturali e dalla funzionalità imposta. Nel tentativo di aggirare i consueti assetti interpretativi degli oggetti, egli richiamava spesso l’attenzione su contesti particolari, immaginando e raccontando le storie dell’oggetto all’interno di questi ultimi. La pietra e il legno diventano complici privilegiati di questo processo. Nell’opera The piece of wood (2005), viene tessuta una trama epica che viaggia dai pressi del confine sloveno-croato nel 1890 fino alla spiaggia del Lido di Venezia nel 2005, dove un pezzo di legno alla deriva arriva nelle mani dell’artista. Il processo artistico di Durham si basa sulla risposta a materiali recuperati, per svelare le storie e le associazioni che essi portano con sé in particolari contesti. In These almost fit (1993), Teeth (1996), Brazilian bloodstone (1997), and Someone stole my diamond (1998), l’artista assembla e riassembla, dichiarando: “Non si può distruggere la materia, si può eliminare la sua funzionalità, la sua forma”. La caratteristica qualità grezza e incompiuta delle opere di Durham dà priorità al processo, costituendo al contempo una continua decostruzione dei generi e dei mezzi artistici europei e nordamericani. Secondo l’artista: “Il materiale è fondamentalmente innocente, sono i nostri modi di fare le cose che sono così folli e strani”.

 

La mostra culmina in un’esplorazione dei processi investigativi di Durham e della sua attenzione ai materiali, compreso il suo amore profondamente giocoso per il linguaggio. La pratica di Durham costituisce una forma di ricerca epistemologica che stabilisce un dialogo metodologico tra linguaggio e materia. Le sue opere sono costruite attraverso ponti in cui scienza e ricerca artistica si incontrano: The Aharonov-Bohm effect (1989) testimonia il suo precoce interesse per la fisica delle particelle, uno studio che compare nelle successive litografie Untitled (Muon) (2003) e Untitled (Surface) (2003), che visualizzano particelle elementari la cui esistenza è stata ipotizzata negli scritti scientifici: “Il mio lavoro si basa sull’idea di scienza come curiosità, come nuovo modo di vedere le cose, indagine senza preconcetti che porta al cambiamento e all’innovazione. Questo è il significato di scienza per me: la mancanza di idee predefinite, l’accettazione della scoperta, una visione inaspettata della realtà. Questa percezione della ricerca scientifica è importante per me”. Un articolo che ha ritagliato da Nature (2021), esposto accanto al lavoro incompiuto (Cast turtle head) (2021), parla di come il comportamento dei muoni nei campi magnetici abbia recentemente rivoluzionato teorie consolidate. Il suo approccio investigativo all’arte scandaglia le profondità degli studi di diverse discipline sulla composizione della materia, oltre a svelare le associazioni sensoriali e narrative degli elementi materiali. Come sempre, l’artista mette in discussione le idee e le pratiche ricevute: “Voglio che sia investigativo, e quindi non ‘impressionante’, non credibile”. La passione per la scienza, e in particolare per la fisica teorica, si esprime in molte opere, come nella sua ultima antologia di poesie, Particle Word Theory (2020).

 

Le parole hanno un ruolo predominante nel lavoro di Durham, sia nella poesia e nella performance, che nei suoi titoli e iscrizioni che stravolgono significati e suoni. Combinando oggetto e linguaggio, l’artista crea un paradigma estetico basato sul significato delle parole e sulle loro deviazioni. È un linguaggio poetico aperto al movimento, che riflette, analizza, tormenta, si interroga e si esibisce. Come egli afferma nel video nel quale recita le poesie raccolte in Particle word theory (2020), “se la poesia ha un’essenza, è che ci deve essere qualcuno che usa il linguaggio in modo importante per il senso del linguaggio. Non si tratta di comunicazione, non di ritmo, né di rime. Ma usare il linguaggio nel senso dell’importanza del linguaggio”. La ricerca artistica, secondo Durham, è un mezzo per essere più vicini al mondo. Ha creato una nuova semantica dell’estetica, giocando con il détournement di significati, suoni e iscrizioni in linguaggi poetici in movimento costante. L’arte non era diversa dalla scienza nell’approccio dell’artista all’indagine sulla composizione della materia e sui limiti della conoscenza. Attraverso la sua profonda sensibilità per i materiali e il linguaggio, l’incessante messa in discussione dei principi primi e le strategie sviluppate di assemblaggio poetico e di articolazione spaziale, Durham ha offerto percorsi per uscire dall’impasse contemporanea delle nozioni e delle categorie di pratica artistica riconosciute.

 

Jimmie Durham: humanity is not a completed project, veduta della mostra al Madre, 2023. Foto di Amedeo Benestante