Ibrahim Mahama e Temitayo Ogunbiyi discutono molteplici storie di arte e tecnologia

In quali modi l’arte contemporanea ci può aiutare a comprendere la storia e offrire delle risposte a questioni sociali emerse in specifici contesti storici? Come possono le visioni utopiche della tecnologia, in diverse geografie, essere riattivate attraverso pratiche artistiche contemporanee che si relazionano con l’ambiente circostante? Nel suo importante libro What Do Science, Technology and Innovation Mean from Africa?, lo studioso zimbabwese del MIT Clapperton Chakanetsa Mavhunga suggerisce che il significato della tecnologia non è universale, ma piuttosto assegnato dalle società, che la impiegano strategicamente per soddisfare bisogni e desideri in relazione a un insieme di valori. Allo stesso modo si può sostenere che le storie dell’arte devono essere comprese in relazione a diverse costellazioni di retaggi estetici e a comprensioni locali del significato e dell’azione dell’arte. Gli artisti Ibrahim Mahama (Ghana) e Temitayo Ogunbiyi (Nigeria/USA/Jamaica) affronteranno queste questioni, in relazione alla loro pratica e alle opere recentemente prodotte al Madre con il sostegno della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, durante la conferenza online dal titolo Molteplici storie di arte e tecnologia, che si terrà giovedì 25 febbraio, alle ore 18.30. La discussione, condotta in lingua inglese e moderata della Direttrice Artistica del Madre Kathryn Weir, è realizzata in collaborazione con Black History Month Florence, rete inter-istituzionale nata nel 2016 per promuovere la produzione culturale black che celebra le culture afro-discendenti nel contesto italiano.

 L’installazione di Ogunbiyi attualmente in mostra al Madre Giocherai nel quotidiano,correndo/You will play the everyday, running 2020, è stata commissionata ad aprile 2020 da Weir e prodotta a distanza tra Lagos e Napoli durante il lockdown dovuto al Covid-19. Attualmente sta producendo un’estensione del progetto in cui una costellazione di elementi scultorei diventerà uno strumento musicale che potrà essere suonato dal pubblico. Dice l’artista: “Mi sono rivolta alla musica come tecnologia malleabile e reliquia sottovalutata della conoscenza. Ho voluto anche rispondere alla performance di Miriam Makeba del 9 novembre 2008 a Castel Volturno, che non è lontano da Napoli. Il 18 settembre dello stesso anno in questa città erano stati massacrati giovani del Ghana, della Libia, del Togo e della Liberia e la grande musicista li ha onorati con questo suo ultimo concerto”.

I due grandi collage fotografici Red Rivers Garden of Eden del celebre artista ghanese, che saranno presentati da marzo al museo, sono stati realizzati durante una residenza nell’ottobre-novembre scorso. Le due opere mettono in relazione la storia industriale del sito Italsider di Bagnoli con il più ampio progetto di Mahama “Parliament of Ghosts” che considera come la promessa utopica di tecnologie e infrastrutture fallite del passato possa essere riattivata nel presente. Il progetto di Mahama a Napoli, curato da Kathryn Weir e Gianluca Riccio, si svolge nell’ambito di ‘Art-Ethics’, una collaborazione ideata nel 2019 da Laura Valente (allora presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee) e Sebastiano Maffettone, direttore dell’Osservatorio Ethos / Luiss Business School.