Wade Guyton, Untitled / Senza titolo, 2017. © Wade Guyton. Foto © Ron Amstutz. | Wade Guyton, Untitled, 2017. © Wade Guyton. Photo © Ron Amstutz.

Wade Guyton

SIAMO ARRIVATI

15.05 — 11.09.2017

Orari e biglietti

Il museo Madre di Napoli presenta la prima mostra personale in un’istituzione pubblica italiana dell’artista Wade Guyton (Hammond, Indiana, 1972), uno dei più importanti artisti americani dell’ultima generazione a livello internazionale. Dall’inizio degli anni Duemila Guyton investiga nelle sue opere lo stato e l’impatto della produzione e della circolazione di immagini digitali, dando rappresentazione alle forme potenziali che esse assumono così come alle specifiche sensibilità e ai linguaggi inediti che esse delineano nella loro trasmissione globalizzata. Aggiornando matrici espressive e cognitive riconducibili alle pratiche sia della Pop Art che dell’Arte Concettuale della seconda metà del secolo scorso, nella sua pratica artistica Guyton adotta un processo apparentemente semplice: con l’utilizzo di stampanti a getto d’inchiostro, l’artista riporta su tela o altri tipologie di supporto una serie di immagini, segni o motivi ricorrenti precedentemente processati da programmi come Photoshop o Word. La relazione dinamica fra sovrapposizioni impreviste, errori meccanici e discrepanze in fase di stampa – che l’utilizzo di questi strumenti implica e che l’artista conduce ai limiti, sfidando le specifiche funzioni di questi strumenti – permette a Guyton di far emergere la contingenza della tecnologia digitale e di rivelarne i codici al lavoro. Il risultato è quello di rendere visibili i conflitti propri dell’espressione digitale, portandoci a riflettere sulla natura condizionale della sua visualizzazione operata attraverso gli strumenti analogici propri delle arti visive.

Le opere realizzate da Guyton specificatamente per la mostra al Madre sono il risultato di un periodo di residenza a Napoli dell’artista e di membri del suo team di lavoro. In continuità con la sua ricerca più recente queste opere si caratterizzano per la coesistenza fra le minimali forme astratte che hanno contraddistinto in modo quasi costante la ricerca dell’artista fino alle mostre più recenti, e nuovi motivi figurativi coincidenti con la deriva delle immagini fotografiche di partenza, generate come file bitmap che hanno perso la loro leggibilità e logicità originale una volta immesse nella catena di riduzioni o aumenti di risoluzione come nella trasmissione fra meccanismo di produzione digitale e stampa su tela. In queste opere si intensifica l’interazione fra gli elementi primari della ricerca artistica di Guyton, basata sull’acquisizione – tramite cellulari, macchine fotografiche digitali, schermate di computer o scanner – di immagini istantanee o riproduzioni da materiali a stampa processati da programmi informatici prima di essere restituite alla stampa su supporti analogici.

In queste opere però l’equilibrio fra figurazione e astrazione si fa sempre più precario, oscillando fra il mezzo fotografico e quello pittorico, con i loro rispettivi codici rappresentativi. Per trasformarsi in icone embrionali e ibride, in palinsesti dell’episteme digitale contemporanea. Prodotte quasi in tempo reale dall’artista e dal suo team durante l’allestimento della mostra, queste opere articolano le potenzialità e le contraddizioni del linguaggio visivo digitale contemporaneo – in cui si sovrappongono astrazione e figurazione, cronaca quotidiana e sospensione del tempo, identità e riproducibilità, singolarità e molteplicità – e documentano l’espansione e la diversificazione delle modalità con cui il linguaggio digitale plasma la nostra conoscenza della realtà, come gli statuti – divenuti effimeri, ipotetici, artificiali e puramente virtuali – della realtà stessa.

Come nella registrazione dell’home page del quotidiano “Il Mattino” in cui – intorno alle immagini delle news del giorno (l’attività micro-sismica nei campi Flegrei) e a un riferimento al gioco del calcio – campeggiano le griglie grafiche e le corporate identities delle inserzioni pubblicitarie di aziende globalizzate come Amazon, Euronics o McDonald’s. In quest’immagine Guyton sembra “appropriarsi” e fare riferimento – per quanto indirettamente e attraverso i nuovi linguaggi e sensibilità digitali di una società divenuta post-ideologica – alla pratica di un artista come Andy Warhol e, in particolare, all’iconico trittico Fate Presto in cui l’artista americano riproduceva la pagina de “il Mattino” del 26 novembre 1980, vero e proprio incunabolo dell’allora germinale progetto Terrae Motus.

Distribuite dall’artista sull’intero terzo piano del Madre, queste opere trasformano la solidità e autorevolezza dello spazio del museo in un ospitale luogo di lavoro quotidiano, in un malleabile e riscrivibile loop architettonico in cui la mostra si interconnette con l’architettura secondo una ritmica successione di dipinti su tela e strumenti di lavoro (tavole, materiali di arredo) trasformati in dispositivi di allestimento. La residenza dell’artista e del suo team a Napoli, come la trasformazione delle sale del museo in un workshop che sostituisce temporaneamente il suo Studio di New York, divengono quindi il blueprint concettuale di uno spazio-tempo critico e (auto) analitico, il set in cui creare in tempo reale questo nuovo gruppo di opere, distribuendo i compiti fra i vari membri del team e definendo le condizioni pratiche di lavoro e l’accesso alle risorse tecnologiche necessarie per accedere alle fonti di informazione e, quindi, di rappresentazione e produzione. In questo modo Guyton reinterpreta sia il classico tema storico-artistico dello “studio” sia il possibile richiamo alla tradizione del Viaggio in Italia o del Grand Tour: da cui anche l’ironico e autoironico titolo plurale della mostra, SIAMO ARRIVATI, che cita lo slogan adottato da McDonald’s per la recente apertura dei suoi punti vendita a Napoli.

Si potrebbe affermare che Guyton intenda questa residenza a Napoli e la mostra che ne consegue come una potenziale allegoria dell’inter- e iper-connessione digitale e globale contemporanea, performandone gli esiti attraverso il confronto con la storia di una città posta al centro del Mediterraneo e immersa quindi, di per sé, in millenarie stratificazioni sociali, economiche, politiche e culturali.

A Wade Guyton (Hammond, Indiana, 1972; vive e lavora a New York) sono state dedicate mostre personali da alcuni dei più importanti musei del mondo, fra cui Museum Brandhorst, Monaco (2017); MAMCO-Musée d’art moderne et contemporain, Ginevra e Le Consortium, Digione (2016); Josef Albers Museum Quadrat, Bottrop e Art Institute, Chicago (2014); Kunsthalle Zürich, Zurigo (2013); Whitney Museum of American Art, New York (2012); Georgian National Museum, Tbilisi e Wiener Secession, Vienna (2011); Museum Ludwig, Colonia (2010); Museum Dhondt-Dhaenens, Deurle (2009); Portikus, Francoforte (2008); Kunstverein, Hamburg, Amburgo (2005); Artists Space, New York (2003). Tra le varie mostre periodiche internazionali a cui ha partecipato ricordiamo Carnegie International, Pittsburgh e Il Palazzo Enciclopedico. 55. Biennale di Venezia (2013); 50 Moons of Saturn. T2 Torino Triennale (2008); Biennale de Lyon. The History of a Decade That Has Not Yet Been Named, Lione (2007); Whitney Biennial, New York (2004).