Jimmie Durham

Jimmie Durham, Presepio, 2016 (dettaglio). In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante. | Jimmie Durham, Presepio, 2016 (detail). On loan to Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Naples. Photo © Amedeo Benestante.

Jimmie Durham (Arkansas, 1940) è un artista, saggista, poeta e attivista politico. Alla base della sua pratica artistica risiede il tentativo di decostruire i concetti cardine della cultura occidentale e di smantellare stereotipi e costrutti imposti dalle culture dominanti, lasciando all’essenza dei componenti costitutivi delle sue opere – una vasta gamma di eclettici materiali sapientemente combinati – la possibilità di innescare una riflessione sugli statuti dell’arte e della realtà. Avvalendosi di una pluralità di linguaggi, come il disegno, la scrittura, il video, la performance e principalmente la scultura, Durham orchestra tra loro simboli culturali e pure presenze oggettuali, in una costante dialettica fra la bellezza e la sua destrutturazione. Dopo aver studiato arte a Ginevra, nel 1973 Durham torna negli Stati Uniti e diviene un attivista dell’American Indian Movement, associazione a sostegno dei diritti dei Nativi Americani. In questi anni si dedica esclusivamente all’attività politica e diviene direttore dell’International Indian Treaty Council e rappresentante delle Nazioni Unite. Dopo un decennio d’intensa attività politica Durham si trasferisce a New York e riprende contatto con l’ambito delle arti visive. Dopo aver vissuto alcuni anni in Messico, nel 1994 l’artista è di nuovo in Europa e questa forma di esistenza nomadica fa sì che, nel suo lavoro, diventi centrale il tema del dinamismo delle forme con cui l’uomo risponde ai bisogni più essenziali, insieme con una disamina critica della supposta unitarietà dell’identità individuale e culturale.

Tra le materie ricorrenti nella pratica scultorea, installativa e performativa di Durham ritroviamo la pietra e il masso, che assumono un valore simbolico o svolgono un’azione plastica. In molte sue opere i simboli della contemporaneità e del benessere (mobilio, frigoriferi, automobili o aerei), appaiono schiacciati sotto il peso di pietre e massi, che Durham ha descritto come riferimenti all’architettura, una disciplina che l’artista interpreta criticamente come struttura che ci illude di vivere nella stabilità e che, in contrasto con la natura, crea invece un ordine che spinge gli uomini a una ripetitività infinita di gesti e consuetudini. Nei primi anni Novanta l’artista inizia a produrre una serie di sculture assemblando tra loro materiali e oggetti eterogenei: elementi di recupero di origine industriale, utensili e beni di consumo quotidiano composti a formare strutture all’apparenza arbitrarie. Questa serie di sculture – di cui è stato presentato in collezione uno degli esempi più precoci, Bajo el Volcan del 1990, insieme a Un momento tranquillo, del 1993 – appare come un ritratto insieme entropico, lirico e critico della nostra contemporaneità e del suo inconscio multiforme, in cui coesistono efficientismo industriale e mistero, tradizione e poesia, aneddoto e storia.

L’opera in collezione – Presepio, presentata al Madre in occasione delle festività natalizie del 2016 – rispetta la caratteristica configurazione del Presepe Napoletano, in cui la nascita del bambino Gesù è ambientata nello scenario della città contemporanea e l’area del praesaepe è attorniata da numerose figure popolari, la cui peculiare caratterizzazione esteticoformale ha assunto, nel tempo, una grande pregnanza simbolica. Personaggi imprescindibili come il salvifico pescatore, il dormiente Benino, l’angelo messianico vengono collocati in uno scenario che non propone una caratterizzazione della città come spazio antropico ma, come spesso nel lavoro dell’artista, ne riproduce la vitalità attraverso le suggestioni conferite dalla preziosità cromatica, tattile e olfattiva, costitutiva dei materiali scultorei utilizzati. In quest’opera Durham riesce a rievocare la storia di una fra le più antiche tradizioni artigianali campane e a rendervi omaggio, dando vita ai suoi protagonisti e al paesaggio con le stesse materie, il marmo e il legno policromo, usato dai primi scultori che raffigurano la natività. Al contempo Durham condensa in Presepio il suo stesso percorso artistico dominato dall’uso di questi stessi elementi, la pietra e il legno, seguendo il principio secondo cui la forza di una scultura risiede nella derivazione diretta dalle potenzialità della materia utilizzata per realizzarla. Per Durham la pietra rappresenta la massima espressione della forma scultorea, non per la sua insita possibilità rappresentativa, ma perché ciascuna roccia è un elemento entropico in continua evoluzione, oggetto statico potenzialmente attivo.

A partire dai primi soggiorni in Europa, l’autore riscontrò quanto l’uso di tale elemento fosse stato asservito ai principi di monumentalità celebrativa applicati dall’architettura e dalla statuaria, in un contesto in cui queste ultime sono concepite come mezzo per rafforzare l’egemonia politico-religiosa e affermare l’identità di un popolo. Durham sente di non poter fare altro che decostruire ironicamente tali (pre) concetti, rifiutando la concezione paradigmatica di arte come monumento e rovesciando il ruolo prominente della pietra nella storia dell’arte. Nella tradizione presepiale napoletana settecentesca la nascita del bambino avviene del resto tra colonne e resti romani in pietra – struttura architettonica che coincide con la raffigurazione dei principi che Durham rifiuta – per sottolineare l’avvento del messaggio cristiano sorto dalle rovine del paganesimo. Nel Presepio di Durham le strutture portanti sono costituite quindi, invece che dalla pietra, dal legno – un frammento di una radice d’ulivo che diviene il cuore pulsante della scena, il fulcro attorno al quale tutti i personaggi si raggruppano nella celebrazione del più naturale degli eventi umani, una nascita, che nell’abbagliante semplicità del suo accadimento riesce a cambiare le sorti del mondo più di qualsiasi altro evento rivoluzionario. Anche la pietra è però presente in Presepio, ma inserita nella composizione senza modificazione alcuna, lasciata libera di esprimersi e arricchire un paesaggio in cui la sua presenza coincide non con la costruzione architettonica umana ma con l’elemento naturale.

Così l’inserimento della pietra grezza decostruisce i cardini di ogni pretesa di dominazione monumentale, mentre l’uso del legno rappresenta la contrapposizione tra matericità e materialismo. Per l’artista, infatti, un pezzo di legno è come una reliquia sacra, massima rappresentazione della magnificenza propria del creato, capace di raccontare una storia millenaria attraverso le sue proprietà intrinseche. L’estrema povertà di un materiale reperibile in qualsiasi latitudine come il legno, caratterizzato da una versatilità di portata universale, riassume il miracolo della natura. Qualsiasi sia il manufatto realizzato a posteriori (con maggiore o minore minuzia, con la decoratività che contraddistingue la cultura dal quale l’oggetto finale prende forma), è l’organicità della materia lignea a trasmettere l’essenza delle cose. Tale celebrazione dell’universo con le sue creature, si esprime in Presepio attraverso il sottile riferimento a San Francesco d’Assisi, evocato con l’inserimento di tanti piccoli animali intagliati magistralmente dall’autore nei residui di legno più ricchi di sfumature. San Francesco, a cui è attribuita la creazione del primo presepio, non solo professa la povertà di cui il bambino Gesù si fa interprete, ma è il portavoce dell’umiltà nella possibilità per l’uomo di nutrirsi della bellezza di ogni espressione del creato, comprendendo quanto il rapporto tra ricchezza e povertà possa essere, oggi come allora, solo una percezione culturale.
È nella dichiarazione della straordinaria normalità degli eventi, è nella rappresentazione di una scena di vita che si cristallizza nell’adorazione di un neonato da parte dei più poveri come dei più potenti del mondo – non a caso i re magi sono di tre età e di tre etnie differenti, ritenute all’epoca rappresentative della varietà umana globale – che si compie il vero miracolo… mentre il pescatore continua a pescare, il mendicante a chiedere aiuto e i pastori a guidare il gregge. L’umanità trasfigurata nei personaggi scolpiti da Durham con legno, pietra, corno, bronzo, arricchiti da semplici tocchi di colore o l’apposizione di un frammento di tessuto o di pelle, e l’allusiva ambientazione creata da particelle di natura assemblate, conferiscono a questo presepe una spiritualità arcaica e intima, sottolineando la capacità dell’artista di vedere lo straordinario nell’ordinario, e la bellezza del mondo nelle sue manifestazioni più impercettibili, e di constatare che il miracolo può, in ciascuna delle declinazioni ad esso attribuibili, essere esperito e vissuto solo da chi ha l’umiltà per accoglierlo.

AR-AC