Jannis Kounellis

Jannis Kounellis, Senza titolo, 2005. Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli. Foto © Amedeo Benestante. | Jannis Kounellis, Untitled, 2005. Photo © Amedeo Benestante.

Trasferitosi stabilmente a Roma dalla fine degli anni Cinquanta, Kounellis esordisce con grandi dipinti nei quali delinea parole, lettere, numeri, segni direzionali che campeggiano su superfici monocrome accogliendo i segnali visivi del contesto urbano nell’ambito dei linguaggi pittorici. A partire dalla fine degli anni Sessanta, la sua analisi del rapporto tra la struttura della prassi artistica e la sensibilità dell’esistenza e della coscienza storica esprime con grande pathos lirico la tensione e l’alienazione della società contemporanea e la frammentazione del dibattito e della produzione culturale, sfociando nella elaborazione di un linguaggio artistico personale e rivoluzionario come nella celebre opera con dodici cavalli vivi alla Galleria L’Attico di Roma nel 1969 e nelle grandi installazioni che utilizzano elementi naturali od oggetti che rimandano al quotidiano come persone vere e animali vivi, pietre, piante grasse, il fuoco sprigionato da fiamme ossidriche, lana cardata, caffè in polvere, sacchi di juta vuoti o riempiti di granaglie, frammenti di copie di sculture classiche, lampade al petrolio, mensole di ferro e binari. Nell’installazione creata appositamente per il Madre, la stanza a lui dedicata è bloccata longitudinalmente da una grande struttura di ferro, che lascia trasparire la luce da vetri colorati monocromi, come una versione contemporanea e critica delle vetrate delle grandi cattedrali gotiche e della centralità del ruolo dell’arte al loro tempo. Una grande ancora arrugginita appoggia il suo peso, anche metaforico, sul pavimento, dando vita a una concatenazione di rimandi al ruolo storico dell’affaccio di Napoli sul mare e sulla sua rappresentazione nella storia dell’arte non solo locale.