Vettor Pisani, Androgino, carne umana e oro, 1971. Courtesy Dora Stiefelmeier. Foto © Claudio Abate

Vettor Pisani_Programma di (re)performance

Tre appuntamenti tra rito e teatro, per rimettere in scena alcune delle performance più emblematiche di Vettor Pisani.

La ricerca irriducibilmente eclettica di Vettor Pisani può considerarsi, nel suo complesso e in ultima analisi, una ricerca di matrice “performativa”, espressione di una vera e propria “opera in azione” che emerge dall’oscillazione continua tra realtà e affabulazione. Una pratica enigmatica, fondata sulla sintassi teatrale che, in un gioco di (auto) citazioni – sospese tra mito e psicoanalisi, sessualità e religione, politica e filosofia – riutilizza e ibrida medium diversi, alla stregua di elementi modulabili e declinabili all’infinito come se fossero, appunto, attrezzature teatrali e arredi scenici.

La performance per l’artista si situa tra rito e teatro, in quanto “il teatro è la forma esteriore mondana del rito che è invece la sostanza e la conoscenza stessa che affonda profondamente nel mistero dell’Essere e dell’Assoluto” (Vettor Pisani). Il teatro diviene quindi luogo iniziatico e metafora par excellence, architettura totale e labirintica costruita per esprimere simbologie arcane, enigmi capovolti, rebus indecifrabili, immersa in un presente storico e al contempo atemporale (“R.C. Theatrum”, ovvero Teatro Rosacroce), in cui convergono archetipi dell’immaginario collettivo, rimandi allegorici, alchemici, ermetici e, appunto, rosacrociani, che a loro volta intercettano la personale “triade solare” di Vettor Pisani: Joseph Beuys, Yves Klein e Marcel Duchamp. La sua autoimmissione come quarto elemento, amplifica e completa lo schema elevandolo da sistema trinitario a simbologia quaternaria: la croce divisa come architettura fondativa della struttura di R.C. Theatrum rimanda ai quattro punti cardinali e alle quattro fasi del ciclo organico, mediante le quali Pisani trova l’assetto definitivo ai propri contenitori e contenuti teatrali, e agli stessi soggetti rappresentati, per dare l’abbrivio alla sua “Grande Opera” (testuale e musicale, illuminotecnica e sonorizzata, quindi, in ultima istanza, performativa), formata per l’appunto dai quattro elementi: Duchamp (aria), Beuys (terra), Klein (fuoco), Pisani (acqua).

La scelta di rimettere in scena alcune delle performance più emblematiche di Vettor Pisani, sia per la ricchezza di riferimenti concettuali che esistenziali, risponde a un’esigenza museologica tesa a restituire, nel contesto espositivo del museo, la possibilità di esperire una forma d’espressione che nasce volutamente effimera ed è abitualmente affidata alle tracce raffreddate della loro riproposizione mediale e documentale, tracce che per altro rivestono, a partire dagli anni Settanta, una straordinaria importanza nella definizione stessa della pratica artistica di Pisani, come dimostra la sua collaborazione con fotografi quali, fra gli altri, Claudio Abate ed Elisabetta Catalano, coi quali realizza una serie di azioni “da studio”.

La ripresentazione di queste performance – ricostruite con scrupolo documentario grazie alla essenziale e generosa collaborazione di Mimma Pisani – risponde alla necessità di divenire, per queste opere, oggetto di esperienza diretta da parte di un pubblico che, generazionalmente, vi assisterà per la prima volta. D’altronde la (re)performance solleva questioni importanti circa l’ontologia stessa di questo medium che ne insidiano le caratteristiche fondanti: questioni di metodo legate alle tecniche, allo sviluppo, all’autorialità, alla conservazione e non da ultimo alla funzione della documentazione stessa della performance, quando essa contempli azioni nate come hic et nunc e che quindi acquisiscono un senso specifico proprio in quanto agite in un determinato tempo e in un determinato luogo, reagendo a particolari condizioni socio emozionali, formali, politiche, culturali, nonché a condizioni spaziali e temporali imprescindibili per la loro comprensione e, di per sé, potenzialmente irreplicabili.

In risposta a questi interrogativi la (re)performance indaga criticamente il valore e l’utilizzo stesso della documentazione storica per verificare i margini della sopravvivenza e riproposizione della performance originale. Un atto di difesa del medium, secondo molti contraddetto dalla possibilità di accettarne un reenactment, una “rievocazione”; ma poiché la performance è anche “essere nel presente” (Marina Abramović), il manifestarsi di questa messa in presenza avviene mettendo in scena azioni alle quali non abbiamo assistito in prima persona e che è possibile riproporre solo indagando la possibilità di e le condizioni per riattivarle e, quindi, preservarle nel tempo presente e nell’esperienza diretta. Il reenactment di una performance, ovvero una (re)performance, dialoga in questo modo criticamente con la rappresentazione iconica e documentaria di queste azioni, con l’obiettivo di riattivarne tempo, spazio e presenza corporea, misurandone al contempo la distanza e la differenza dall’originale.

 

Calendario

 

20 dicembre 2013

Lo Scorrevole

1971-2013

Ricostruzione dalla performance originale: Lo Scorrevole, 1972, performance nello studio di Elisabetta Catalano, interprete Monica Strebel. Courtesy Mimma Pisani, Roma.

Presentato in molteplici occasioni e in diverse varianti (Plagio. Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Kunstverein, Francoforte / Galleria La Salita, Roma 1971-1973; Documenta V, Kassel, 1972), Lo Scorrevole è generato dal confronto / scontro con due opere fondamentali di Marcel Duchamp: La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1915-1923) e Le gaz d’éclairage o Étant donnés (1946-1966). Lo Scorrevole è soprattutto il dispositivo estetico che accompagna tutto il percorso artistico-esistenziale di Vettor Pisani, da Amore Mio, prima mostra dell’artista al Castello Svevo di Bari (1970), fino alla fine, esplicitando uno slittamento, estremo, dalla metafora alla vita. Un cavo d’acciaio è teso tra due pareti, su cui scorre una carrucola collegata a una catena, che ha il suo terminale in un collare di cuoio, attaccato al collo di una figura femminile, nuda, colta in una forma di liberazione-elevazione verso l’alto (Elevazione della Vergine è, non a caso, il titolo di una versione del 1972, realizzata nello studio di Elisabetta Catalano). Lo Scorrevole è una “macchina celibe” che simboleggia l’elemento maschile, bloccato nell’erezione che cinge l’elemento femminile, in una congiunzione fatale di Eros e Thanatos, amore e morte, ma al contempo contiene in nuce l’elemento della liberazione-elevazione di un soggetto (femminile) dall’altro (maschile), un passaggio dall’unità alla differenza/ molteplicità. Una macchina caricata all’infinito, che suggella il passaggio dall’Uno (Immortale) al molteplice (mortale). “Lo Scorrevole determina il ruolo decisivo della morte, dato che propone un ‘esserci’ inserito nel tempo” (Mimma Pisani). In occasione di Documenta V a Kassel, nel 1972, Pisani alla simbologia dello Scorrevole aggiunge l’elemento incestuoso: la sorella come modella, accanto al suo piede un pedale da batteria. Durante l’azione l’artista si china e dipinge la parte inferiore della gamba della sorella con un colore bianco, quasi volesse marmorizzarla.

 

07 febbraio 2014

Il coniglio non ama Joseph Beuys

1975-2014

Ricostruzione della performance originale: Il coniglio non ama Joseph Beuys, 1976, versione presentata alla 37. Biennale di Venezia, interprete Gaia Riposati. Courtesy Mimma Pisani, Roma.

Nel 1975, alla Galleria Sperone di Roma, Vettor Pisani presenta una performance dal titolo Il coniglio non ama Joseph Beuys, rovesciando in chiave ironica la celebre azione dell’artista tedesco (Come spiegare i quadri a una Lepre Morta / How to explain pictures to a Dead Hare, Galerie Schmela, Düsseldorf, 1965). La stessa azione è riproposta da Pisani successivamente alla Biennale di Venezia, dove partecipa per la prima volta nel 1976, e successivamente a Bologna nell’ambito della “Settimana internazionale della performance” (GAM, 1977). Il coniglio non ama Joseph Beuys, ovvero La Natura non ama l’Uomo. In piedi, accanto a due semicroci, una donna di razza ariana. Immediato è il riferimento all’Eurasia dell’artista tedesco (indicazione sincretica della doppia polarità Europa-Asia, intesa come destino di una razza e di un popolo). Presentate raddoppiate, le due semicroci rimandano alla croce cristiana, punto di incontro dell’asse verticale e del piano orizzontale, espressione del passaggio dalla monade alla diade, collegamento dell’Uomo Universale, o Androgino, raffigurazione di una svastica. “Il coniglio non ama Joseph Beuys, io invece sì […]. Quest’opera è stato il mio sentito omaggio di ammirazione e amore fraterno, di artista rosacroce a un così grande artista” (Vettor Pisani).

La performance sarà agita nella nuova versione presentata al museo Madre da Gaia Riposati.

 

8 marzo 2014

Androgino (carne umana e oro)

1973-2014

Ricostruzione della performance originale: Androgino, carne umana e oro, 1973, presentata in occasione di “Contemporanea”, garage di Villa Borghese, interprete Emilio Vacca. Courtesy Mimma Pisani, Roma.

Nel 1970 Vettor Pisani si trasferisce a Roma, dove tiene la sua prima mostra personale presso la Galleria La Salita, dal titolo Maschile, femminile e androgino. Incesto e cannibalismo in Marcel Duchamp, titolo che è già un manifesto di poetica, di un metodo di riflessione e di verifica sull’arte come genealogia del proprio processo creativo fondato sulla sintesi e sul sincretismo intellettuale, fino alla virtualità stessa della figura dell’artista come ricettacolo multicodico. La performance Androgino (carne umana e oro) ne condivide gli stessi principi. Pisani aggiunge il calco di un petto femminile, in oro, sul petto di un uomo nudo. Sul dorso l’uomo nasconde un coltello che è servito al taglio simbolico. Il mito dell’Androgino attraversa tradizioni differenti, dalla filosofia greca abbraccia le escatologie gnostiche e cristiane e i Vangeli stessi, simboleggiando l’insistenza verso l’ottenimento di una relazione armoniosa tra principi opposti, la cui esistenza separata, vissuta in modo positivo (tradizione ebraica) o punitivo (tradizione greca) è comunque indispensabile per il benessere dell’intero universo. Il titolo della performance esplicita l’essenza del mito come simbolo di ricongiunzione degli opposti maschile-femminile, caricandosi di valenze alchemiche che investono i materiali primari di costruzione dell’opera: carne umana e oro, suggerendo un cammino iniziatico, un “rituale di passaggio” alchemico, dall’imperfezione alla perfezione, dall’uomo al divino, dal mortale all’immortale.

La performance sarà agita nella nuova versione presentata al museo Madre dall’attore Emilio Vacca.

A partire dal 9 marzo, e fino al 24 marzo, data di chiusura della mostra di Vettor Pisani, l’opera Androgino – carne umana e oro, 1973, che accompagna la performance omonima sarà allestita nel percorso espositivo al terzo piano del museo, nell’ambito della sala dedicata al tema dell’Eros.