Lello Masucci

Lello Masucci, “Sacchi di notti napoletane”, 1986. Courtesy Lello Masucci Art Studio, Napoli. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

La ricerca pittorica costituisce il sottotesto di tutta la pratica artistica di Lello Masucci (Napoli, 1948), che attraversa il teatro sperimentale, il cinema e la letteratura elettronica intese, come forme di una radicale e continua sperimentazione.

Dopo esperienze come performer e video-maker, dagli anni Novanta la riflessione di Masucci si rivolge alla ricerca nel campo dell’estetica dell’informazione, della comunicazione elettronica e delle tecnologie digitali, che lo conducono alla messa a punto di un provider internet fra i primi nell’Italia meridionale. L’artista studia linguaggi di programmazione tra cui Lingo, Python, Java, C, C++, Html, xml, javascript, actionscript e molteplici programmi di elaborazione digitale, e si dedica alla realizzazione di teorie sulla letteratura elettronica.

Da queste esperienze originano un evento come On the Air (2000), basato su collegamenti internet sintonizzati fra Napoli e a New York, una mostra personale al PAN-Palazzo delle Arti Napoli (2009), che egli stesso ha definito “un ulteriore apporto sul fare poetico nell’ambito delle tecnologie digitali, delle reti di comunicazione testuali, video e audio”,  gli eventi OLE-Officina di Letteratura Elettronica e l’Open Art Project, progetti aperti al contributo di tutti in assonanza con i software open source (2011), e la mostra Le ferite dell’anima (2018), che si elabora e definisce fra produzione ibrida (digitale e analogica) e puro piacere del fare pittorico.

L’opera Sacchi di notti napoletane (1986), entrata a far parte della collezione del Madre nell’ambito del progetto Per_formare una collezione. Per un archivio dell’arte in Campania, fu realizzata da Masucci  durante un soggiorno romano. Il dipinto-installazione ha una matrice performativa e polisemica, suggestionata da vivide tracce mnestiche che si traducono in una struttura narrativa autosignificante. Il setting, intriso di rimandi metaforici e malinconici, si compone di sette grandi sacchi neri di iuta (“in ogni sacco, una notte di Napoli”) sovrapposti su di un carrello ferroviario “pronto per partire come ricordi del viaggiatore che lasciava Napoli”, come dichiara l’artista. Elemento integrante, un fondale dipinto di 5 metri, interamente affidato a un vuoto di luce, che proietta il proprio buio attraverso il residuo chiarore delle stelle dipinte, tra le quali si può intuire anche la sagoma astratta del Vesuvio.

Procedendo in modo che i vari elementi che lo costituiscono generino un rapporto di concatenamento semiotico, Sacchi di notti napoletane celebra il fatto creativo stesso, la cui analisi e studio traeva all’epoca ispirazione dalle teorie del critico Filiberto Menna, vicino in quegli anni allo sviluppo critico della ricerca di Masucci. Dell’installazione esistono più di cento disegni preparatori in cui si analizzano i materiali, i colori, il prospetto del carrello e la pedana, la scelta del tipo di polimero per comunicare l’effetto di contrasto matto/setoso dello sfondo e, infine, la simbologia legata al pentagono e alla sezione aurea, “luoghi per rappresentare la profondità dello spazio e l’aura allegorica di Napoli”.

Loredana Troise

Sacchi di notti napoletane, 1986

Attualmente non esposta

Courtesy Lello Masucci Art Studio, Napoli. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Sacchi di notti napoletane, 1986 (veduta dell'allestimento)

Attualmente non esposta

Courtesy Lello Masucci Art Studio, Napoli. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.