Berlinde De Bruyckere

Berlinde De Bruyckere, “Aanèèn-genaaid (1999)”, 1990 (dettaglio). Collezione Enea Righi, Bologna. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Berlinde De Bruyckere (Ghent, 1964) ha sviluppato negli anni una ricerca stilistica inconfondibile, fondata su un’estetica del lacerto che attinge alla mitologia di un corpo posto all’incrocio di molteplici referenti, culturali ed estetici: l’origine fiamminga dell’artista innanzitutto, che si evince nell’attenzione ai dettagli – curati con paziente precisione – e nella ricerca raffinata di materiali duttili e sensuali (cera, pelle di cavallo, coperte, velluti); ma soprattutto nell’universo visionario e surreale di artisti come Hieronymus Bosch, James Ensor, Paul Delvaux. Le sue sculture, evocative nell’uso della cera dell’opera di Medardo Rosso, agiscono a livello fisico sulla “pelle” delle immagini e a livello psichico sulla dimensione del sintomo, fisico e mentale, sulle scaturigini del rimosso.

Cresciuta nell’isolamento di un collegio di suore, De Bruyckere è ossessionata dai corpi umani e dalla loro decomposizione, così come dalle immagini di animali squartati, visti da bambina nella macelleria del padre. Stimoli diversi tornano esteticamente trasfigurati in rappresentazioni anatomiche che sono allo stesso tempo seducenti e disturbanti, scandite dalla tensione epidermica di corpi umani emaciati e contratti, stravolti da metamorfosi spiazzanti, privi di ogni caratterizzazione fisiognomica eppure riconoscibili; oppure in carcasse di animali bloccate in pose incongrue ma dal deciso impatto realistico. Qualsiasi soggetto, nella scultura di De Bruyckere, assume una fisicità sinistra e straniante, diviene espressione di una fisiologia allucinata, sospesa tra la vita e la morte. L’artista scava nelle paure ancestrali dell’essere umano, il suo universo è popolato da figure solitarie e fragili che si offrono come metafore della sofferenza somatica e del disagio psicologico.

All’inizio degli anni Novanta, De Bruyckere si concentra sull’anatomia umana: sculture di donne, celate da coperte di lana che sembrano rispondere al bisogno di proteggerle. Successivamente, nel vocabolario plastico dell’artista diviene ricorrente l’utilizzo dell’assemblaggio, cucito a mano: nascono una serie di figure antropomorfe, memori dell’approccio esistenziale di Louise Bourgeois.

L’opera entrata a far parte della collezione del Madre nell’ambito del progetto Per_formare una collezione, Aanéén-genaaid (1999) (“cucito insieme” e quindi “rimontato”, 1999), è una scultura che restituisce un corpo bloccato nella sua desolante immobilità, acefalo e senza arti superiori. Per metà è nascosto da una coperta che l’artista gli ha cucito addosso, quasi a voler proteggerne la parte menomata. Le forme essenziali rimandano ad un immaginario archetipico, mentre la rappresentazione realistica di alcuni dettagli – il colore livido dell’epidermide, la pacata plasticità dei muscoli, rivelano l’interesse dell’artista per lo studio attento della figura umana, della sua anatomia e postura. Questa figura, al di fuori dello spazio e del tempo, sospesa nel limbo dell’indeterminazione, esprime un bisogno di amore e protezione negato, lasciando allo spettatore un senso di vuoto, di disagio, di vulnerabilità e solitudine.

[Eugenio Viola]

Aanèèn-genaaid (1999), 1990

Attualmente non esposta.

Collezione Enea Righi, Bologna. In comodato a Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Veduta dell'allestimento, nell'ambito di "Per_formare una collezione #4"

Attualmente non esposta.

Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.